Lamine Yamal è il nostro futuro

Cosa si prova a veder giocare il giovanissimo fuoriclasse della Spagna.

I calciatori – gli sportivi, in generale – quando vengono inquadrati in azione o quando vengono intervistati, sembrano sempre più grandi dell’età che hanno, soprattutto è così che li immaginiamo. Perché la nostra percezione e l’inconscio fanno fatica a spiegarsi come uno di vent’anni possa compiere tali meraviglie ed essere pagato così bene per farlo. Prendiamo il tennis, Sinner e Alcaraz e perfino Medvedev potrebbero essere miei figli, miei nipoti, eppure sembrano più grandi, sono maturi, hanno la battuta pronta, sono milionari, brillanti, simpatici. Djokovic a un certo punto smetterà e solo allora ci sembrerà giovane, perché non lavorerà più e forse avrà meno di quarant’anni. Thiago Alcántara e Toni Kroos hanno appena smesso e nessuno dei due ha superato i 35 anni, ma da quanti anni li vediamo in campo? Quante volte ci hanno illuminato le serate?

Quando, credo poco meno di due anni fa, ho visto un primo piano di Yamal, per la prima volta non ho pensato a uno più grande, ho visto un ragazzino, qualcuno poco più di un bambino. E questa cosa non è mai cambiata, nemmeno dopo il gol spettacolare che ha segnato alla Francia nella semifinale degli Europei. Yamal a ogni primo piano, zoomata, inquadratura, intervista, restituisce il ragazzo giovane che è. Ha qualche mese meno di mio nipote e quando lo vedo in campo mi sembra di vedere lui quando gioca a basket. Tolto l’affetto familiare, fatte le debite proporzioni – Yamal si avvia a diventare uno dei migliori al mondo (se non lo è già), mio nipote è molto bravo ma gioca solo per passione – l’emozione che provo è la stessa. Sto vedendo spargere meraviglie a un ragazzino che compirà 17 anni tra qualche giorno, cose che stando all’anagrafe ci mandano indietro a Pelé, a Maradona, cose che stando all’incanto non sappiamo ancora dove ci condurranno. Yamal è bellezza in divenire, è classe e talento che sono destinati a estendersi, a elevarsi, oltre le mani di Maignan, oltre la nostra immaginazione. Yamal è, insieme a pochi altri, il futuro del calcio, la cosa più interessante, perché, ricordiamoci: tutto il contorno va bene, ma se non c’è qualcuno che in campo divide l’ordinario dallo straordinario il castello crolla e la noia prevale. Il presente è già incredibile, rappresenta qualcosa che va oltre il mondo del calcio e riguarda la politica, l’integrazione, l’immigrazione. Verrebbe da suggerire a tutti i nostalgici, i razzisti, gli impauriti, che esistono cose che non si possono fermare perché stanno nell’ordine delle cose, dei tempi e degli spazi. Le persone si sono sempre spostate, con la stessa rapidità con cui Yamal salta l’uomo, con la stessa imprevedibilità, con la stessa precisione. Yamal è qui e a ogni dribbling vi ricaccia nel passato. Ed è un ragazzo africano, è un ragazzo spagnolo, è un ragazzo del mondo.

Dopo il gol di Kolo Muani su assist stupendo di Mbappé, prima che Mbappé sparisse, si poteva pensare: che strano, guarda te la Francia. Poi ecco la ragione, ecco il motivo per cui si vuole guardare una partita del genere. La ragione è l’incanto, la bellezza, lo stupore, la ragione è una cosa sempre nuova, sempre diversa, quella che fa una palla quando è colpita dal piede giusto. Yamal segna, si capisce prima che la palla entri, perché l’istinto dice che quella palla dopo essere stata calciata con tale maestria non può far altro che entrare, e – meglio ancora – dopo aver visto l’attaccante della Spagna preparare il tiro, ingannare i suoi avversari, in particolare Rabiot, solo con il movimento del corpo, muovendo appena il pallone. Muovendosi piano. Come piano? Eh sì, la calma con cui Yamal gioca fa sembrare tutto come in un ralenti cui gli altri non hanno accesso, non possono, tutto qui. Quindi non si muove piano, quell’apparente lentezza è solo la sensazione che arriva a chi guarda, e quella di resa che realizza chiunque provi a fermarlo. «Venezia mi fa piangere», scrive Susan Sontag nei suoi taccuini, lo scrive pensando a quando attraversa piazza San Marco la mattina presto. Yamal mi fa piangere, quando vedo un suo dribbling, un suo assist, un suo gol e – senza volerlo, senza saperlo – lo collego alla sua giovane età, alla sua storia personale, al suo destino che incrocia i nostri e per qualche istante li migliora. Il suo gol alla Francia è come camminare in piazza San Marco poco dopo l’alba. Una cosa che forse Sontag scriverebbe in un suo nuovo taccuino.

La Liga, anche se negli ultimi anni è diventata meno divertente, resta un serbatoio di talenti. Nell’ultimo anno, ogni lunedì mattina sono andato a vedere gli highlights con in testa un solo pensiero: vediamo cosa ha fatto Yamal. Quasi mai sono rimasto deluso, ha brillato in un Barcellona quasi mai brillante, ha promesso e ha mantenuto. Ho visto controlli in giravolta, stop a seguire per liberarsi dell’uomo, dribbling a rientrare per lasciare che il sinistro calciasse in porta o smarcasse un compagno davanti alla porta, che felicità. Tutto il repertorio si è concretizzato in questi Europei di cui è il calciatore migliore con Rodri e Fabián – e per il numero 8 della Spagna noi sapevamo. Assist stupendi, scambi, proposizioni, movimenti, tiri e finalmente il gol. Gli avversari lo temono, provano a capirlo, ad aspettare la sua mossa, ma la sua mossa non è mai la stessa. Ha 16 anni e sa già come indurre gli avversari al fallo, all’errore, i terzini sembrano in perenne ritardo, chiedere a Theo Hernández, non l’ultimo arrivato.

Yamal è piccolo ma ti fa sentire minuscolo come davanti a certe poesie indimenticabili: ti arriva la bellezza ma non ne cogli il mistero, non capisci da dove, né quando, sia partito il pallone ma hai seguito con fiducia la traiettoria e in qualche modo lo hai accompagnato anche tu dove Yamal lo ha indirizzato. Hai letto fino all’ultimo verso, quello che si è chiuso nell’angolino basso o all’incrocio dei pali. Tu e Maignan siete la stessa parte della storia, quella che spetta a chi guarda, o a chi legge.

Il gol, ma anche una partita giocata in modo sontuoso

Da qualche giorno, però, c’è anche la religione, l’iconografia, le immagini che sono destinate a fare la storia. Alla foto che ormai ha fatto il giro del mondo, quella di Yamal piccolissimo in una vaschetta azzurra, coccolato con lo sguardo da Messi che gli fa il bagnetto. La foto, adesso lo sappiamo è stata scattata per un calendario di beneficenza nel 2007, Yamal aveva pochi mesi, e tra i calciatori blaugrana gli è toccato Messi (non che in quell’anno potesse andargli tanto peggio, ma tant’è); ci sono varie foto, in un’altra Yamal è vestito ed è in braccio a Leo Messi.

Che cortocircuito: il senso del battesimo spiegato bene. Ma potremmo dire meno banalmente: il senso della vita, il senso di qualcosa che sta sopra a ogni religione e si cristallizza nell’unica alla quale crediamo, quella del calcio. In ogni caso, se quello è il battesimo, la Masía è il seminario, il convento, lo sappiamo da tanto. Cos’avrà passato Messi a Yamal in quegli istanti? Razionalmente diremmo solo un po’ di gentilezza e tenerezza (e sarebbe già tanto), ma non siamo persone razionali e allora diciamo che l’argentino ha passato al bambino il segreto del pallone, gli ha passato la leggerezza e la grazia. Non abbiamo motivo di dubitare che sia andata così, e infatti non dubitiamo.