Mancavano 469 giorni all’inizio delle Olimpiadi di Parigi, e il 14 aprile del 2023 Thomas Ceccon vinceva la finale dei 100 dorso ai Campionati italiani di Riccione in 53’’36 qualificandosi per i Mondiali di Fukuoka che si sarebbero svolti pochi mesi dopo, nella seconda metà di luglio. Subito dopo la gara, intervistato da RaiSport, Ceccon disse: «Quest’anno, anche se sono campione e primatista del mondo in carica, non volevo nuotarli i 100 dorso. Perché se vinco due ori di fila ai Mondiali, poi alle Olimpiadi di Parigi sarò il favorito…».
Quelle parole poi si rivelarono un bluff, si dispersero come fumo nel vento — a Fukuoka 2023 Ceccon gareggiò eccome nei 100 dorso, arrivando secondo dietro allo statunitense Ryan Murphy, e in ogni caso prima delle Olimpiadi c’era ancora un altro Mondiale, Doha 2024, a febbraio, a cui non ha partecipato per la frattura di un dito —, ma con quelle due frasi, a un anno e mezzo da Parigi, Ceccon stava iniziando a lasciarci un messaggio, ci stava dicendo una cosa: io ho un solo pensiero in testa. L’oro olimpico. Tutto il resto non conta.
Quest’agognata rincorsa si è conclusa lunedì sera pochi istanti dopo le 21.30. Thomas Ceccon è campione olimpico, ha vinto la finale dei 100 dorso dalla corsia cinque con il tempo di 52’’00 battendo il cinese Xu Jiayu (52’’32) e lo statunitense Ryan Murphy (52’’39). Non ha migliorato il suo record del mondo che detiene ormai da due anni, quel 51’’60 realizzato nel giugno del 2022 ai Mondiali di Budapest, non ce n’è stato bisogno perché alle Olimpiadi conta solo mettere la mano davanti agli avversari, ma è diventato il sesto campione olimpico nella storia del nuoto italiano dopo Domenico Fioravanti (100 e 200 rana, Sydney 2000), Massimiliano Rosolino (200 misti, Sydney 2000), Federica Pellegrini (200 stile libero, Pechino 2008), Gregorio Paltrinieri (1500 stile libero, Rio 2016) e il trionfo inaspettato di Nicolò Martinenghi (100 rana, Parigi 2024). Il nuoto è il secondo sport più praticato a livello amatoriale nel nostro Paese dopo il ciclismo e davanti al calcio, lo ha rivelato un sondaggio di pochi giorni fa, eppure i campioni olimpici si contano solamente sulle dita di due mani, e avanza pure dello spazio. È una dimensione nuova, diversa, superiore.
Cosa si può fare in 52 secondi? Vincere una finale olimpica, se ti chiami Thomas Ceccon
Le vittorie di Ceccon e Martinenghi, però, hanno pochi punti in comune tra loro. Se prima delle Olimpiadi Martinenghi spiegava che «mentirei se dicessi che vado lì per gareggiare e basta, anzi, io vado lì per confermarmi sul podio, però non la vivo come se fosse la gara della vita», Ceccon la finale di lunedì l’aveva eccome cerchiata da tempo come la gara della vita («Mi ero preparato tutto, anche l’intervista post gara», sono state le sue prime parole ai microfoni della Rai), e per arrivare fin qui ha fatto molti sacrifici. In primis ha rinunciato a mettere in mostra fino in fondo le proprie qualità, quell’ecletticità acquatica che lo rende un atleta unico, o quasi, nella storia del nuoto italiano. Potrebbe gareggiare in qualsiasi stile, ha il secondo miglior tempo nazionale nei 100 stile libero e nei 100 farfalla e il quinto nei 100 rana in vasca corta, e la domanda che lo rincorre da sempre è: perché, allora, non provi i 200 misti? Perché è meglio fare poche gare ma bene, ha sempre risposto. E poi, soprattutto negli ultimi anni, ha rinunciato ad amicizie, amori, serate, l’estate scorsa persino alle vacanze. Tornato dai Mondiali di Fukuoka, mentre tutti gli altri erano al mare, lui gareggiò ai Campionati italiani estivi a Roma. «Le energie vanno dosate, non le voglio sottrarre al nuoto», ha detto qualche giorno fa alla Stampa.
C’è una parola con cui viene spesso definito Ceccon, e quella parola è talento, eppure lui questa parola la respinge, la rifiuta, ne contrappone altre: a volte lavoro, a volte addirittura ossessione. Prima che diventasse di nuovo un nemico della patria per aver rinunciato alle Olimpiadi di Parigi a causa di una tonsillite, la vittoria di Jannik Sinner agli Australian Open è stata raccontata come una vittoria messa a fuoco nella mente tanto tempo fa e costruita giorno per giorno, con scelte anche impopolari e rinunce all’oggi per raggiungere qualcosa di più grande domani, il trust the process dello sport americano, per intenderci. In questo l’oro olimpico di Ceccon ricorda molto lo Slam di Sinner, e non solo per l’anno di nascita di entrambi, lo stesso, il 2001. «Il talento per me non esiste, bisogna guadagnarselo. Puoi avere capacità leggermente migliori, ma solamente se lavori andrai più in alto», diceva Sinner nel 2021. «Non sono arrivato dove sono arrivato solo grazie al talento», ha detto poche settimane fa, ai neolaureati del Dartmouth College, un’università del New Hampshire, Roger Federer.
Ma l’ossessione nello sport può anche diventare un limite, dalle massime interiste di José Mourinho al recente ritiro dal nuoto artistico di Giorgio Minisini. Cosa rimane una volta raggiunto l’obiettivo di una vita, quello per cui hai fatto sacrifici, sforzi, rinunce, allenamenti all’alba e collegiali in altura? Nel 2015 i giornalisti Alessandra Giardini e Giorgio Burreddu e lo psicologo Fabio Cola hanno pubblicato un libro intitolato Vuoto a vincere in cui hanno intervistato dieci grandi atleti dello sport italiano, alcuni anche campioni olimpici. «Lo devi sapere che niente sarà come vincere l’Olimpiade. O lo accetti, o sarai per sempre un uomo infelice», ha detto Jury Chechi. «Ero dieci metri dopo il traguardo, avevo raggiunto il successo più alto, ma la mia faccia diceva un’altra cosa. Mi chiedevo: adesso, e adesso che cosa faccio?» (Gabriella Dorio). «Quanto dura? Boh, sette secondi forse. Quello che ti dà lo sport è unico, ma è soltanto un momento. E forse sei felice anche che sia finita» (Alessandra Sensini). «La felicità dura dieci secondi, forse meno. È come una folata all’improvviso quando non c’è vento» (Adriano Panatta). In Open Andre Agassi scrive: «Adesso che ho vinto uno Slam, so qualcosa che a pochissimi al mondo è concesso sapere, una vittoria non è così piacevole quant’è dolorosa una sconfitta, e ciò che provi dopo aver vinto non dura altrettanto a lungo. Nemmeno lontanamente».
Adesso Ceccon — che è già il nuotatore italiano più medagliato di sempre alle Olimpiadi con quattro podi, solo Rosolino come lui — è entrato in una condizione nuova, o dovrà entrarci al più presto. Magari troverà nuovi stimoli fin da subito, già nei 200 dorso che inizieranno mercoledì e in cui parte dal ruolo di outsider, magari l’anno prossimo farà quell’esperienza di allenamento all’estero a cui pensa da un po’ e che potrebbe cambiare le sue abitudini, almeno per un periodo. Oppure magari sperimenterà anche lui quel vuoto a vincere che hanno provato molti altri nuotatori, da Michael Phelps a Gregorio Paltrinieri. In ogni caso l’ossessione è scappata, è vinta, è battuta, e con lei, inevitabilmente, lunedì una parte della vita di Thomas Ceccon è finita.