È l’8 gennaio 2022. In un anonimo terzo turno di FA Cup contro il Chesterfield a Stamford Bridge, Romelu Lukaku segna il suo ottavo gol stagionale da quando è tornato al Chelsea: un tocco di sinistro sottomisura su assist del giovanissimo Lewis Hall. Sono passati pochissimi giorni da quando ha rilasciato l’intervista a Sky in cui ha detto di voler tornare all’Inter e il belga si è già trasformato nella rappresentazione plastica di tutto ciò che non sta funzionando nella squadra di Thomas Tuchel, che infatti chiuderà la Premier League al terzo posto (a oltre 20 punti dalla coppia City-Liverpool), perdendo contro i Reds le finali di entrambe le coppe nazionali. A fine stagione Lukaku tornerà effettivamente all’Inter: prestito oneroso da otto milioni di euro dopo che, nemmeno un anno prima, i Blues ne avevano sborsati 115 per riportarlo lì dove tutto era cominciato nel 2011, quando Romelu era appena maggiorenne e veniva dai 41 gol in 98 partite con la maglia dell’Anderlecht.
A Milano, Lukaku avrebbe ritrovato tutto come lo aveva lasciato. Tranne una cosa, la più importante: Antonio Conte, che già da sei mesi è il nuovo allenatore del Tottenham dopo una brevissima parentesi da opinionista Sky. Parentesi che viene ricordata soprattutto per un’istantanea: erano gli ultimi giorni del settembre 2021 e Lukaku era finito nel mirino della tremenda stampa inglese dopo due prestazioni sconcertanti contro Manchester City e Juventus; in quell’occasione, quasi come se fosse il padre che non sopporta di vedere il figlio così in difficoltà senza poter far nulla per aiutarlo, Conte si era sentito in dovere di spiegare quale fosse il modo giusto di utilizzare il suo centravanti preferito, concentrandosi su ciò che lo aveva reso così importante nello sviluppo della sua idea di calcio. «È difficile», disse Conte, «trovare un giocatore che riesca ad essere un punto di riferimento in area come fa lui e che al tempo stesso sappia risalire il campo con quella velocità e quella qualità. Si tratta di una caratteristica che mi sembra di rivedere anche in Haaland, anche lui molto ben strutturato dal punto di vista fisico, difficile da marcare in area e velocissimo in campo aperto».
Senza Conte, e con Simone Inzaghi, la seconda era nerazzurra di Lukaku sarà molto meno indimenticabile della prima: pochi gol, tanti problemi fisici, la sensazione di aver imboccato il non affollatissimo viale del tramonto attraverso lo stargate del meme che diventa realtà un gol sbagliato dopo l’altro. Come se l’immagine del Lukaku ciclonico, travolgente e inarrestabile, il Lukaku padrone della Serie A, potesse esistere solo come proiezione dell’aura di Conte, il taumaturgo che riesce laddove tutti gli altri hanno fallito prima di lui e falliranno dopo.
In un lungo post su Instagram pubblicato il 26 maggio 2021, “Big Rom” aveva salutato così Conte dopo l’addio del tecnico all’Inter: «Nel 2014 abbiamo parlato per la prima volta e da allora abbiamo avuto un legame. Abbiamo avuto molti momenti per lavorare insieme, ma solo Dio sa perché non era mai successo prima. Sei arrivato al momento giusto, mi hai cambiato come giocatore, mi hai reso ancora più forte mentalmente e, cosa più importante, abbiamo vinto insieme! Vincere era ed è tutto ciò che conta per te e sono contento di averti avuto come allenatore. Conserverò i tuoi principi per il resto della mia carriera (preparazione fisica, mentale e solo la voglia di vincere). È stato un piacere giocare per te! Grazie per tutto quello che hai fatto. Ti devo molto». Insieme, a Milano, Lukaku e Conte avevano vissuto due anni intensi, avevano vinto uno scudetto e avevano raggiunto una finale di Europa League persa a poco più di un quarto d’ora dalla fine a causa di uno sfortunato autogol proprio di Lukaku. Una circostanza che era comunque stata seppellita dalle 64 reti in 95 partite e dalla convinzione che il belga avesse finalmente trovato la sua dimensione definitiva dopo un decennio trascorso da costosissimo pacco postale in giro per l’Europa.
Le ultime due stagioni, come sappiamo, hanno raccontato una storia diversa. Una storia di ricerca di una perenne ultima spiaggia da parte di un giocatore che vissuto di rincorsa la parte più importante della sua carriera, trasformandosi in un affare da ultimi giorni d’agosto anche quando – ed è il caso del nuovo Napoli di Conte – è la prima scelta della sua nuova squadra e viene accolto come il nuovo salvatore. Nelle ultime due esperienze nate in questo modo, le cose non sono andate benissimo. Il suo secondo passaggio all’Inter si è esaurito sulle scorie della finale di Istanbul, e poi si è consumata pure un’aspra coda polemica per un possibile passaggio alla Juventus che non si è mai concretizzato. Alla Roma, nonostante i 21 gol in 47 partite, nessuno ha mai realmente pensato che i giallorossi potessero fare un ulteriore sacrificio economico per riscattarlo a titolo definitivo.
Il fatto che il costo dell’ingaggio e del cartellino abbiano un impatto così rilevante nella valutazione e nella percezione sul valore reale di Lukaku – non tanto e non solo nella visione dei tifosi, ma anche in quella di chi Lukaku lo paga – non è un dettaglio marginale. Anzi: proprio il fatto che un giocatore così contraddittorio pesi così tanto per le classe di un club alimenta quella sensazione di emergenza legata ai trasferimenti che ha vissuto negli ultimi due anni. Una percezione che il mero dato realizzativo non riesce a placare, semplicemente perché non tutti possono permettersi di aspettare che entri in forma con i suoi modi e i suoi tempi. Per questo oggi Lukaku viene considerato soprattutto come una scorciatoia, una scommessa che vale la pena fare quando tutti gli altri obiettivi sono sfumati e si cerca l’usato sicuro in grado di garantirti i gol necessari a vivacchiare nella parte sinistra della classifica in base alle potenzialità espresse dal resto del collettivo; se va male si può sempre rispedire al mittente, se va bene si può pensare di investire su di lui creando il contesto più adatto per esprimere le sue qualità. Il punto, però, è proprio questo: dopo la stagione 2020/21, Lukaku non è mai andato così bene da convincere qualcuno a investire su di lui tecnicamente ed economicamente per via di quell’idea che ormai si è sedimentata e che vede nel belga un grande attaccante che funziona fino a quando non si rende necessario alzare il livello individuale e di squadra. A quel punto, inevitabilmente, chiunque abbia avuto in rosa Lukaku ha scelto di puntare su altro e su altri.
Questo discorso è valso per molti – Tuchel, Simone Inzaghi, Mourinho, De Rossi – ma non vale per tutti. Perché, nel frattempo, è tornato Antonio Conte. E Romelu Lukaku è il primo nome che Aurelio De Laurentiis si è sentito fare dal tecnico leccese al momento della firma sul contratto, e forse anche prima. Perché se è vero che il miglior Lukaku non può esistere senza Conte, è altrettanto vero che chi si aspetta la miglior versione di Conte sa che non si può prescindere dall’attaccante belga, in quello che è l’incontro tra due entità che condividono il medesimo senso di urgenza generato dal peso di ansie e aspettative: «Io so già cosa succederà nel mio futuro. Farò una scelta e la spiegherò e tutti saranno d’accordo con me. Ogni volta che ho deciso di restare o andare da qualche altra parte la mia scelta si è sempre rivelata la più giusta, anche per via di alcuni fattori come ad esempio il mio rapporto con l’allenatore. Che è come una relazione con una donna: se non funziona più è inutile continuare a stare insieme. Chi è stato finora il mio miglior allenatore? Antonio Conte». Queste parole sono state snocciolate (prima di essere riprese praticamente da tutti i media italiani) proprio da Romelu Lukaku, non più tardi di qualche tempo fa, al portale belga Het Laatse Nieuws. Quasi a voler ribadire come, per lui, giocare a calcio ad alto livello significhi giocare a calcio per Antonio Conte.
E, allo stesso modo, anche per Conte ormai si può giocare a calcio – il suo calcio, ovviamente – solo se davanti c’è Romelu Lukaku, meglio se da prima punta supportato da due esterni rapidi e ipertecnici schierati a piede invertito e in grado di tagliare dentro al campo palla al piede – proprio come David Neres e Kvicha Kvaratskhelia. Siamo oltre la narrazione della bromance, siamo a un tipo di affinità tecnica, tattica ed elettiva che Conte non ha mai trovato nemmeno quando ha potuto allenare Tevez, Diego Costa e Harry Kane: c’entra il modo diretto, aggressivo e verticale con cui Lukaku interpreta il ruolo del centravanti in un sistema incardinato sull’idea dell’attacco dello spazio e della rapidità in fase di risalita del campo dopo il recupero palla, ma c’entra soprattutto la necessità di riconoscersi in qualcuno che condivide una determinata visione delle cose, qualcuno cui affidarsi nei momenti di difficoltà, quelli in cui serve alzare il pallone e sperare che il proprio numero 9 riesca a metterlo giù e a ricavare qualcosa di buono dal nulla e nel nulla.
«Puoi sbagliare la moglie. Ma, quando costruisci una squadra, non puoi sbagliare il portiere e l’attaccante» spiegò qualche anno fa in una conferenza stampa tornata d’attualità nel momento in cui è apparso chiaro che, anche nel 2024, per Conte l’unico attaccante possibile per riportare in alto il Napoli era solo Romelu Lukaku. Questo è il motivo per cui il salentino non ha mai voluto immaginarsi un Napoli senza “Big Rom”, così come non ha mai nemmeno provato a disegnare un Napoli con Osimhen anche quando i complicati intrecci di mercato che riguardavano il nigeriano potevano lasciar immaginare una sua permanenza: «Per quel che riguarda Romelu, stiamo parlando di un calciatore forte, uno di quelli che speri sempre di vere dalla tua parte e mai contro» disse il giorno della sua presentazione a Palazzo Reale.
Dopo due mesi che sono sembrati molto più lunghi dei tre anni che li hanno separati, Conte ha di nuovo Lukaku, Lukaku ha di nuovo Conte e il Napoli ha il centravanti che ha rincorso per tutta l’estate. L’utilizzo di quel verbo non è casuale visto che, per Lukaku, tra poco avrà inizio l’ennesima stagione in cui proverà a cancellare la sensazione che sia dovuto diventare, per forza di cose, un attaccante da comprare a fine agosto. Romelu, insomma, dovrà di nuovo rincorrere diverse cose: i compagni, gli avversari, il pallone, probabilmente anche sé stesso e il ricordo di ciò che era e che vuole tornare a essere. In questo, lui e la sua nuova squadra si somigliano più di quanto avrebbe immaginato.