La Juventus sta iniziando a raccogliere i frutti della Next Gen

Mbangula e Savona sono i volti nuovi lanciati da Thiago Motta, ma il lavoro del club bianconero dei giovani ha avuto un enorme impatto anche sul mercato.

Il gol di Savona su assist di Mbangula, quello dello 0-2 tra Hellas Verona e Juventus, è un momento simbolico della nuova stagione dei bianconeri. L’azione è disseminata di piccoli ricami tecnici e tattici, il movimento all’interno di Cambiaso, il solito taglio esca di Vlahovic, fino al cross di sinistro di Mbangula sul secondo palo. Questi elementi si sommano alla riproposizione di alcuni sincronismi che avevamo visto nel Bologna dell’anno scorso: l’asimmetria dei due esterni alti, la prima costruzione con il 3+2 alla base, la fluidità posizionale dopo la metà campo. Tutti questi spunti formano un bignami del Thiago-ball (si può già chiamare così?). Eppure non sono nemmeno la parte più interessante di questo inizio di stagione juventino. Perché fino a pochi giorni fa molti di noi nemmeno immaginavano che Savona e Mbangula potessero avere un ruolo in questa squadra, ancor meno da titolari o da protagonisti.

Conta poco il fatto che le due avversarie contro cui hanno giocato e segnato, Como e Verona, non fossero pesi massimi della Serie A: Savona e Mbangula arrivano dalla seconda squadra dei bianconeri, la Juventus Next Gen, e si sono rivelati importanti sul campo, da subito, con il nuovo allenatore. Con loro c’era anche un ragazzo del 2005 che da poco ha iniziato a indossare la maglia numero 10 bianconera e che ha già servito due assist decisivi. Anche lui arriva dalla Next Gen, e si chiama Kenan Yildiz. Nell’elenco con Mbangula, Savona e Yildiz potrebbe rientrare anche Fagioli, di qualche anno più grande e già nel giro della Nazionale – e per questo più maturo e più pronto dei giovani citati fin qui.

Tutti loro sono il prodotto finito più visibile di una delle poche cose che ha funzionato nella Juve degli ultimi anni, almeno a livello calcistico e societario: la valorizzazione dei talenti scovati, sviluppati e lanciati dalla seconda squadra, iscritta in Serie C. Il ponte diretto con la Next Gen significa, per la Juve, poter allungare in ogni momento le risorse della prima squadra. E anche se questo talento in più è ancora grezzo, appartiene cioè a giocatori non ancora nel pieno delle loro potenzialità, si tratta comunque di un contributo significativo, molto diverso da quello che hanno le altre squadre italiane dalle loro formazioni Primavera.  

Non sappiamo quanto spazio avranno ancora questi giovani nei prossimi mesi – è presumibile che il minutaggio di Fagioli e Yildiz, a fine anno, risulterà più alto rispetto a quello di Savona e Mbangula –, dopotutto il mercato ha portato a Thiago Motta altri giocatori con status di titolari. Ma almeno si è intravisto un cambio di approccio rispetto al recente passato bianconero. Cioè rispetto all’allenatore precedente, un allenatore che metteva in piedi grandi artifici retorici per legittimare la sua avversione all’impiego di giocatori inesperti. E che, anche quando li mandava in campo, lo faceva per lo più per mancanza di alternative. O magari no. Forse Thiago Motta ha fatto queste scelte ad agosto solo per fattori contingenti che verranno a mancare nelle prossime settimane. Sarà interessante vedere come l’allenatore italo-brasiliano userà la sua rosa nel corso di questa sua prima stagione in un grande club.

Ad ogni modo, il contributo della Next Gen alla prima squadra non si esaurisce nei gol, negli assist e nei minuti in campo dei giocatori che sono passati dalla Serie C. Perché gli acquisti di Nico González, Juan Cabal, Khéphren Thuram, Teun Koopmeiners e Francisco Conceição sono stati finanziati con le cessioni di Soulé (incasso di 25,6 milioni di euro), Huijsen (15,2), De Winter (8), e poi di Iling-Junior (14) e Barrenechea (8), che hanno contribuito ad abbassare il costo del cartellino di Douglas Luiz. Contando anche le cessioni di Kaio Jorge (7 milioni) e Moise Kean (14), fanno in totale 91 milioni di euro entrati dalle vendite di giocatori che non avevano avuto un ruolo centrale in prima squadra l’anno scorso. 

Il progetto Next Gen è partito nel 2018 e negli ultimi anni sta producendo grandi risorse per la Juventus. A fronte di spese relativamente contenute. In fondo si tratta di un progetto societario che richiede circa nove milioni di euro annui di costi operativi (dati di Sky Sport). Investimenti che non devono avere un ritorno immediato – per una volta, vincere non è l’unica cosa che conta – ma devono creare valore in prospettiva. Valore calcistico, quindi un talento da sviluppare, un terzino che migliora gli aspetti difensivi o nella costruzione dell’azione, un attaccante che si fa più associativo, perfeziona il gioco di sponda e affina il senso del gol in area. Ma si tratta anche di un valore economico, di mercato: risorse finanziarie su cui il club può contare ogni anno.

Come tutte le grandi squadre, anche la Juventus ogni anno ha bisogno di ristrutturare la rosa con spese enormi, visti i prezzi del calciomercato. E fare cassa con giocatori che non sono nel progetto tecnico della prima squadra, quindi senza sconvolgere l’equilibrio trovato dall’allenatore nella stagione precedente, è un vantaggio enorme. Proprio come Soulé e Barrenechea, venduti a quelle cifre per quanto fatto al Frosinone più che in bianconero. Ma lo stesso Iling-Junior, in realtà, non è mai stato un elemento centrale nella Juventus di Allegri.

Nicolò Fagioli era in campo nella finale di Coppa Italia Serie C vinta dalla Juve NextGen, nel 2020 (Gabriele Maltinti/Getty Images)

È vero, è esattamente l’emblema della mercificazione dei giocatori, l’apice del calcio-business che trasforma mediani e trequartisti in asset il cui valore è una cifra da incassare sul mercato. Ma sono operazioni ormai irrinunciabili, le fanno tutti i grandi club europei, anche quelli governati dalle monarchie del Golfo, il Real Madrid, il Bayern Monaco, il Barcellona. I prezzi dei cartellini hanno un peso molto rilevante sui bilanci. E se le spese per gli acquisti possono essere spalmate su più anni, fare plusvalenze con ricche operazioni in uscita può garantire in un’estate il margine di manovra necessario a migliorare la prima squadra. In Spagna o in Germania di solito le grandi società possono fare affidamento sui prospetti delle seconde squadre che giocano nelle serie inferiori, in Inghilterra ci sono le Academy seguite dagli osservatori di tutto il mondo, mentre le proprietà multiclub possono attingere dalle squadre satellite in altri Paesi.

Non è un vantaggio marginale, perché le squadre più forti del mondo non sempre possono permettersi di mandare in campo giocatori molto giovani solo per metterli in vetrina – quello che invece succede ogni weekend in Ligue 1. È quello che dice Carlo Ancelotti, in maniera un po’ cinica e un po’ furba, quando ricorda ai giornalisti che il suo lavoro non è dare minuti ai giovani ma vincere le partite. Due urgenze talvolta contrastanti. Certo, si può discutere quanto invece faccia parte dei compiti dell’allenatore valorizzare tutti gli asset della società da lui gestiti. Ma il punto è che avere una seconda squadra può aiutare a rispettare entrambe le esigenze, quella dei risultati immediati e quelli della valorizzazione del talento, senza bruciare l’una o l’altra. In fondo, anche il Real Madrid negli ultimi anni non ha avuto tempo e modo di aspettare Marcos Llorente e Achraf Hakimi, il City non ha puntato su Jadon Sancho e Brahim Díaz, il Chelsea alla fine ha scelto di monetizzare con Conor Gallagher, Mason Mount, Ruben Loftus-Cheek, Lewis Hall e Billy Gilmour.

Quello sulle seconde squadre è un argomento di discussione che ciclicamente prende vigore in Italia. Sono progetti con costi relativamente contenuti e molti club avrebbero la possibilità di emulare il percorso fatto dalla Juventus. I recenti risultati dei bianconeri potrebbero dare una spinta anche alla concorrenza. I primi a muoversi in questo senso sono stati l’Atalanta (con l’Under 23) e il Milan (con il Milan Futuro). Entrambe proveranno a crearsi più margine di manovra per la gestione di tutti i calciatori che transitano nei loro affari, per cercare una valorizzazione che la prima squadra non può permettersi per esigenze di campo o anche solo per motivi numerici, di spazio. Molto probabilmente ne seguiranno altre. Non perché sia il destino dei dieci o venti club italiani più ricchi. Ma perché l’esempio della Juventus dimostra che, con una gestione attenta e virtuosa, si possono moltiplicare le risorse e le opportunità del club.

Le notizie della settimana scorsa ci dicono ancora che la Juventus ha acquistato l’ex capitano dell’Italia Under-20 Giacomo Faticanti, dal Lecce. Poi anche Arman Durmisi, attaccante sloveno classe 2008, dal Koper, che ha firmato un contratto triennale e non andrà nella seconda squadra ma si aggregherà alla formazione Primavera. Per quest’operazione il club ha investito circa un milione di euro, quanto bastava per superare la concorrenza di Parma, Lipsia e altri club tedeschi interessati allo sviluppo dei giovani talenti. Mentre la squadra di Thiago Motta prende forma, si abitua alle idee e alla proposta di gioco del suo allenatore, il club lavora su un altro arco temporale: un modo per non interrompere questo circolo virtuoso.