Sta sbocciando Gaetano Oristanio

Il Venezia ha trovato il modo per mettere in vetrina uno dei talenti più puri del nostro calcio.

Certe traiettorie bisogna saperle immaginare, prima ancora di tracciarle. Anche durante la versione più scorbutica dell’inverno lagunare: fango, acqua, vento gelido da pizzicare le ossa. Una serata di calcio proibitiva per qualunque fantasista. Eppure, resta proprio quell’estrema risorsa – la fantasia, appunto – per provare a beffare la furia degli elementi: Gaetano Oristanio prende una breve rincorsa e va. Osserva la bandierina che si dimena, sente la tempesta addosso come un vecchio lupo di mare. Palla tagliata. Tagliatissima: s’inarca fino al limite dell’area piccola, poi si eclissa all’indietro. La bora da Trieste, di colpo benevola, compie quel che la fisica da sola non potrebbe. L’undici del Venezia aspetta, una quarantina di metri più in là. È già pronto a esultare, ancora prima di scorgere la rete che si gonfia e Pepe Reina – navigato portiere da mille e più partite sul groppone – finire risucchiato dalla sua micidiale parabola sul secondo palo. Un lampo che squarcia il campionato. A rievocare maghi, prodezze e mirabilia da Guerin Sportivo. Non l’ha fatto per caso, Oristanio. Niente nella sua storia è regalato.

Oggi però se ne accorgono tutti. In un dicembre che sa quasi di calendario dell’avvento calcistico: capolavoro contro il Como all’Immacolata, pareggio perfino amaro in casa della Juve, altro assolo al Penzo prima di Natale. Paga pegno il Cagliari, dove il 22enne giocava fino a pochi mesi fa. I ventimila occhi del pubblico veneziano lo cercano dall’inizio alla fine: “Daghe elbałòn a Gaetano!”, si mormora sugli spalti. Il ragazzo esegue. Sprinta, parte in quarta, detta gioco, tempi e modalità dalla metà campo in su.

È longilineo, dinoccolato: ogni tanto dà l’impressione di poter cedere alla pressione dei difensori (e una volta magari accadeva). Ma col tempo è diventato anche un dribblatore fisico, Oristanio. Regge agli urti, non la perde mai. Sul finire del primo tempo si accende, sguscia sull’out di sinistra, volante, imprendibile, smistando un pallone a rimorchio di quelli che non si possono sbagliare. Altro guizzo nella ripresa: stavolta per vie centrali, in versione goleador con tanto di tocco sotto col piede debole. Verrà annullato per il frammento di un tacchetto – quello di Pohjanpalo, in millimetrico fuorigioco. Ma il gesto resta. Il Venezia vince. Lui da ex non esulta. Forse nemmeno ne ha bisogno: è il leader tecnico della sua nuova squadra, mentre la precedente è arrivata a rimpiangerlo. Sul puro talento nessuno ha mai avuto dubbi. Eppure, un po’ come quel corner nella bufera, una tale repentina parabola era difficile da prevedere.

Piaceva a Ranieri, Oristanio. Gli piaceva «la sua qualità, la sua attitudine di giovane che non molla mai e quando non ce la fa più chiede il cambio». Però il saggio stratega parlava anche di un giocatore «a corrente alternata». In Sardegna in effetti è stato così: in 25 partite, spesso da subentrato, soltanto un assist e due gol – ma uno pesantissimo, a innescare l’incredibile rimonta salvezza da 0-3 a 4-3 contro il Frosinone, ammaliando a posteriori Di Francesco. Oltre i numeri colpiva il rendimento: talvolta cristallino, tante altre fumoso e poco incisivo. Così a fine stagione i rossoblù decidono di non riscattarlo. Gaetano rientra alla base Inter, dove tra prestiti e giovanili orbitava da otto anni. Sarà un caso, sarà l’età propizia per il grande salto, ma tutto cambia quando il Venezia decide di rompere le scivolose catene della provvisorietà – Satriano, fratelli Esposito: la lista alla Pinetina è storicamente lunga – acquistandolo a titolo definitivo e offrendogli un contratto a lungo termine.

Per lui Di Fra stravede: «Oristanio va trattato con i guanti bianchi. È uno dei migliori profili della nuova generazione». E soprattutto, in laguna gioca sin da subito con incontestata continuità. Più consapevole, determinante. Figurando quasi sempre tra i migliori in campo. «La Nazionale?», dice ancora l’allenatore dopo il successo sul Cagliari. «Spalletti mi scrive, mi chiede di alcuni giocatori: dico solo che lui è giovane, italiano e di grande prospettiva».

Il Volendam? Sì, adesso parliamo anche di questa sua esperienza un po’ esotica

Il percorso si carica d’effetto, come le sue conclusioni. Quando a 14 anni lasciò il tepore della famiglia – nei dintorni di Salerno – per volare all’Inter, non avrebbe mai creduto di ritrovarsi a latitudini ancora più nordiche di lì a poco. Fino a un paesino di pescatori sul mare del Nord, dove il tempaccio di Venezia-Como è roba all’ordine del giorno. Ma su a Volendam si fa un altro calcio: scuola di vita, scuola Ajax – all’epoca dirigeva i lavori l’ex nerazzurro Wim Jonk. In due stagioni Oristanio conquista una promozione e una salvezza in Eredivisie, e lo fa da protagonista. Soprattutto esce dalla comfort zone: insieme a lui c’è soltanto Filip Stankovic, pure in prestito, anticipando quell’asse su cui ora poggiano le speranze del Venezia. Entrambi parleranno dell’esperienza olandese come sorprendente e decisiva. Erano partiti adolescenti, sono rientrati uomini.

«Consiglio a tutti di andare all’estero», Gaetano dichiarerà poi alla Gazzetta. «Io nasco trequartista, esterno. Amo il dribbling, la sterzata, l’attacco della profondità. Però ho capito che stare tre metri più avanti o più indietro non fa differenza: oggi l’importante è sapersi adattare». Si definisce un giocatore istintivo. E dunque libero, di creare e puredi sbagliare. Ha ancora enormi margini di miglioramento, soprattutto sotto porta – in questa stagione due gol, tre assist e tanti altri palloni senza lieto fine. Ma la sensazione è che, a prescindere dalle sorti del Venezia, la Serie A stia trovando un calciatore di rara intelligenza offensiva.

Per la Nazionale c’è tempo, seguiranno fatti e sogni. Oristanio dice inoltre di ispirarsi a Dybala. Al Penzo però i tifosi si permettono di dissentire: certi gol, certe cristalline giocate, da queste parti non si ammiravano da oltre due decenni. Anche allora la provvidenza – seppur in prestito – si era presentata dall’Inter: aveva sempre 22 anni, sempre con la maglia numero 11, mancino di piede e dalla tecnica visionaria. Di Álvaro Recoba in laguna si sono riempite le cronache. E ad alimentare leggenda e prestigio, è da quel 1999 che il Venezia non ha mai più centrato la salvezza nel massimo campionato. Servirà un altro fuoriclasse per riuscirci di nuovo. Se non come il Chino, della stessa stirpe: di Gaetano Oristanio in queste acque s’è appena cominciato a scrivere.