Per Jannik Sinner l’Australia si dimostra, ancora una volta, la terra promessa. Perché down under – giù sotto – è dove per il tennista italiano tutto è iniziato e tutto può succedere. Nella notte dei desideri, quella in cui Zverev, prima di scendere in campo, sognava di vincere il suo primo Slam, mentre Sinner lottava per riconfermare il titolo dell’anno scorso, il pubblico ha assistito ad una partita a senso unico, chiusa in tre set. Un anno dopo la finale contro Medvedev, quella del suo primo titolo Slam, Sinner si è presentato in campo con un’altra maturità e consapevolezza del suo gioco, dominando il numero due del mondo: non ha perso nemmeno un turno di battuta e ha sempre fatto le scelte giuste.
Il terzo Slam di Sinner arriva dopo due settimane di torneo in cui è stato sin da subito l’uomo da battere. Una condizione meritata, frutto del lavoro quotidiano fatto con il suo team, ma anche una grande responsabilità. Un happy problem, come si dice nel mondo manageriale, che Sinner ha gestito con l’approccio che ha sempre contraddistinto la sua carriera, curando ogni dettaglio al meglio: dalla preparazione delle partite alle interviste con i media. Proprio su quest’ultimo aspetto, sin dal suo esordio nel torneo, gli Australian Open ci hanno rivelato una versione di Sinner inedita, capace di andare oltre la solita retorica che quasi tutti gli atleti utilizzano per commentare le loro partite con frasi come: «Ho cercato di dare il massimo ed è stata una partita dura, ma alla fine ho vinto». La versione di Sinner che ha rivinto a Melbourne è quella del ragazzo a cui è impossibile non volere bene, quello che con umiltà si dedica al suo sport preferito. E che nel momento giusto sa usare l’ironia, raccontando gli aneddoti divertenti che caratterizzano la sua quotidianità – come la confessione sulle sue lunghe dormite prima dei match o il racconto della serie tv che ogni anno guarda quando viene a giocare in Australia.
Giocare uno Slam da numero 1 del mondo significa avere tutti gli occhi addosso, sia in campo che fuori. È così che Sinner, sempre attentissimo ad ogni parola parola che pronuncia, a inizio torneo si è lasciato andare la notizia – presto diventata scoop – relativa all’ultima stagione di Darren Cahill nel team. Un’esternazione che ha immediatamente costretto i diretti interessati a fare chiarezza e a spiegare la situazione nei dettagli, aggiungendo ulteriore pressione su Sinner e facendo partire. sin dal giorno dopo, le domande di rito sull’eventuale erede del coach australiano.
C’è stato poi il caso del match contro Rune, una partita delicata nel corso della quale Sinner si è ritrovato a fare i conti con dei problemi fisici. Eppure ne è uscito vincitore. Una cosa ha colpito in particolare del nuovo Sinner: l’attenzione maniacale al recupero, un aspetto su cui ha insistito in ogni intervista post-partita. E che rappresenta una vera e propria fase cruciale, sia per lui che per il suo team. Non che prima non fosse attento al suo fisico, ma da un ragazzo di 23 anni non ci si aspetta una tale ossessione per la gestione del corpo: un ulteriore segnale sul fatto che, per arrivare al top e per restarci, bisogna gestire bene ogni variabile che dipende dal proprio controllo.
Sinner lascia l’Australia con 3 Slam in bacheca, record assoluto per un tennista italiano, ma ancora con tanta strada da fare. Questa è la cosa che demoralizza di più gli avversari: Jannik già risulta ingiocabile per molti avversari, ma ha ancora dei margini di miglioramento. Del resto, ripercorrendo il suo torneo, ha eliminato l’ostico Rune, poi Shelton – che contro di lui ha giocato un’ottima partita – e infine ha battuto Zverev che era arrivato alla finale in fiducia e con la sensazione di essere più vicino che mai al suo primo Slam.
La sintesi della finale
Proprio il tennista tedesco, insieme ad Alcaraz, si ritrova in una posizione ancora più difficile da sopportare rispetto agli altri: che Shelton perda con Sinner se lo aspettano perfino i suoi tifosi, ma che Zverev non riesca a trovare delle contromisure in una finale persa tre set a zero, è un dato che fa riflettere. Quanto ad Alcaraz, è vero che nonostante la giovanissima età – due anni in meno di Sinner – ha già una ricca bacheca di titoli Slam, ma ciò che preoccupa è che anche in Australia ha dimostrato di avere delle enormi difficoltà nel gestire i propri cali di rendimento: in altri termini, quando Carlos non è nella sua miglior versione, spesso combina dei pasticci. Al contrario, Sinner esce dagli Australian Open con la conferma, sia per se stesso che per i suoi rivali, che anche se non è al massimo o se – come è successo ai quarti di finale – deve fare i conti con la sofferenza, ha comunque raggiunto una conoscenza dei propri mezzi tale da permettergli di vincere contro tutti gli avversari. Che possono migliorare il dritto o affinare il movimento del servizio, ma al momento non riescono a confrontarsi ad armi pari con il rendimento continuo di Sinner, con la sua solidità che sembra provenire da un altro pianeta.
La vittoria del terzo Slam significa anche confrontarsi con il futuro: grazie alla sua mentalità di ferro, Sinner continua a collezionare titoli. Ora, dopo i 1000 americani, ci sarà la stagione sulla terra rossa: una superficie su cui Jannik deve e vuole ancora migliorare, provando ad arricchire la sua bacheca con qualche titolo importante e che gli manca – magari quello di Roma, davanti ai tifosi italiani, e poi ovviamente il Roland Garros.