Fuori fa un freddo cane e scendo sottoterra. Fermata Repubblica, rumore di tornelli. Entro in uno spazio che sta nell’atrio della metro e che si chiama Atelier delle Arti e dello Spettacolo e chiedo se è qui che devo fare l’intervista. C’è solo una ragazza americana che con un dolcissimo accento di qualche posto che potrebbe essere il Montana o il Wisconsin (non ne ho idea) mi risponde che non sa di cosa parlo mentre impasta le mani nell’argilla. Ha un grembiule e sta plasmando una maschera. Si dice plasmando una maschera? Costruendo una maschera? Fabbricando una maschera? Arriva Andrea, il proprietario del posto. «Sai, una volta facevo l’attore. Poi ho conosciuto uno che faceva solo archi di violoncelli, nient’altro. Li vendeva a 50 artisti in tutto il mondo, però era l’unico in tutto il mondo, non so se mi spiego. Era verticale nel suo business, capito? Così ho deciso di smettere col teatro e mettermi solo a fare le maschere». Semplicemente fare le maschere.
Luca Ravenna arriva più tardi. Ha uno zainetto pieno di maglie da calcio. «Ho portato un po’ di maglie per lo shooting», dice, con tutta la semplicità del mondo. Veste una felpa verde che ho già visto dentro a qualche video su YouTube. Sta per finire il tour. Anzi: sta per finire i tour, almeno per un po’. Perché Luca sì che è stato verticale, come chi fa le maschere: uno dei primi a fare stand up comedy in Italia – un movimento ancora in crescita esponenziale – e poi non si è mai fermato, un tour dopo l’altro, un palco dopo l’altro, diventando lo stand up comedian per antonomasia nel nostro Paese. Adesso rientra da un giro europeo con show finale a New York. «È stato lunghissimo e bellissimo. Non posso che parlarne come un calciatore al quale hai chiesto dello Scudetto appena vinto: speriamo di ripeterci!». Pronti via e già butta lì il calcio. «Ora mi prendo un annetto di pausa dal palco, però faccio altre cose che per scaramanzia non ti dico, perché ho trasportato la scaramanzia del tifo anche nel lavoro». Di nuovo.
Ⓤ: Sei arrivato in metro come un milanese? In Cooltra, che forse è ancora più milanese. Torni a vivere qui?
Dopo 18 anni a Roma ci sto pensando. Anche se il mio sogno sarebbe stare in campagna. Quando arrivi a questa idea vuol dire che sei finito, hai terminato l’energia.
Ⓤ: È diverso esibirsi in Italia o all’estero?
Sì, è diverso, perché il pubblico di una città italiana è molto legato alla città in cui sei. Mentre all’estero sono italiani da tutto il Paese. Quelle sono serate più genericamente tricolore. Mentre se sei a Pisa, a Palermo, a Torino, la città nella quale sei determina la serata, che può essere pisana, palermitana, torinese, eccetera.
Ⓤ: Dove hai bevuto di più?
La quantità di birra è stata demenziale.
Ⓤ: Va bene, allora dove hai mangiato meglio?
Per distacco Barcellona. Si mangia troppo bene, una città troppo bella. Io penso che sia un posto dove pagherei volentieri le tasse. Il miglior complimento per una città: vorrei venire a pagare le tasse da te. Lì è andata così bene che camminando a caso, per strada, mi sono commosso. Di base non mi commuovo sul palco o nel retropalco ma mi succede a caso. Tu cammini per strada e dici “che fortuna che ho a fare questo lavoro in cui la gente viene e ride”.
Ⓤ: È molto difficile farti l’ennesima intervista sportiva perché sei un perfetto pesce da pescare per chi tratta di sport. Non mi va di chiederti per l’ennesima volta che calciatore saresti.
Hai ragione. Comunque ti risponderei che vorrei essere Rory Delap. Ieri ho visto un reel di 90 secondi di Roly Delap che crossa solo con rimesse laterali.
Ottimo. Comunque. Vorrei farti giocare un po’ allo sceneggiatore. Riavvolgiamo il nastro a quando hai studiato Sceneggiatura alla Scuola Sperimentale del Cinema di Roma.
Ok.
Ⓤ: Facciamo finta che hai 60 anni. È il 2047, l’Inter ha recentemente cucito la terza stella al petto, Jannik Sinner ha battuto ogni record immaginabile ma nonostante 15 partecipazioni non ha ancora mai vinto il Montebello Open (il personale torneo di mini-tennis dei fratelli Ravenna, ci arriviamo più tardi, nda). La tua carriera, intanto, è proseguita in un susseguirsi di alti e bassi, comunque seguendo una crescita costante e cospicua. Sei ad esempio il primo comico italiano di sempre a riempire San Siro in una caldissima serata della Milano del 2030, in un mondo sempre più vittima del riscaldamento climatico, della trap e della stand up comedy. Ora ti appresti a realizzare l’ultimo grande capolavoro: il film sulla vita di Luca Ravenna. Mi aiuti a scriverlo?
Vai.
Ⓤ: Luca Ravenna a 8 anni. Dove siamo? Cosa succede? Cosa inquadriamo?
A otto anni è tutto il film. Dovevo scegliere. Siamo in montagna. Valle Spluga, Madesimo. Sono vestito con un maglioncino di lana pesantino, pantaloncini corti di tessuto e un paio di Superga. Giro la mia Rack Attack, cioè la prima racchetta Wilson che ho avuto, mentre mi avvicino alla maestra Laura perché dopo due lezioni di tennis io so che diventerò il più grande tennista italiano di tutti i tempi e voglio dirglielo. Poi finisco terzo su tre in un triangolare contro due ragazzini di undici anni. Io ne avevo appunto otto e sembravo una bambina, una bambina bruttina. La maestra Laura mi ha detto: “Secondo me questa carriera non decollerà così forte”. Però lì è nato il mio amore per il tennis e soprattutto ho capito che non sono capace di svuotare il cervello quando faccio sport. Quindi sono totalmente incapace. Credo abbia a che fare anche col lavoro che faccio, per il quale noi tendiamo a vivere la vita pensando sempre a come raccontarla dopo. Invece quando giochi devi spegnere il cervello. C’è un motivo se ci sono i campioni che fanno 45 rigori su 46 e poi altri che non riescono a batterli. Cioè proprio non riesci a fare la cosa semplice. Io l’ho capito subito.

Ⓤ: Luca Ravenna, 18 anni.
Estate del 2006, Milano. Sì, sono uno di quelli. Ho avuto la fortuna enorme di fare la maturità l’anno del Mondiale. Di base non tifo per la Nazionale ma poi, a un certo punto, verso gli ottavi, inizia a salirmi il tricolore. Dai quarti può essere che mi dipinga. La semifinale contro la Germania l’abbiamo vista a casa del mio amico Jacopo e al secondo gol di Del Piero abbiamo lanciato il cane di sua mamma. Era un bassotto. Un bel ricordo. Non era facile dormire quell’estate ma il giorno dopo la mia ragazza aveva l’orale, mentre io l’avevo due giorni dopo. Quella sera l’ho portata a casa in bicicletta e poi, sempre in bici, all’esame. Ricordi di una Milano che non c’è più. O forse non è vero, forse c’è ancora e sono solo più grande io. Ogni città ha il suo profumo. In autunno sento quello di Milano che non è solo l’odore di merda che c’è generalmente in città, cioè senti che c’è stata della natura qua, non sai quando, e quell’odore mi ricorda un po’ i 17/18 anni, quando ero fidanzato con questa mia compagna del liceo, giravamo nei giorni freddi col sole che scende tra le quattro e le cinque. Quando inizi a vedere un po’ di nostalgia di amore adolescenziali, vuol dire una sola cosa: che stai invecchiando. Lo spettacolo lo finisco parlando proprio di questo grande tema che è il famoso amore che quando hai la mia età percepisci che non hai più tempo di goderti. Hai troppe cose da fare, anche se sei fidanzato o sposato. Quindi ho fatto un pezzo su quando le coppie innamorate si sbaciucchiano e quello che faccio io quando li vedo, a 37 anni, è che gli succhio l’anima. È fondamentale per tenerti vivo.
Ⓤ: Luca Ravenna, 28 anni. Quando inizi con la stand up comedy. Anche perché non hai mai veramente detto come hai avuto l’idea. Hai solo detto che hai iniziato quando hai smesso di fumare erba.
L’idea l’ho avuta molto prima. Ma non c’era proprio un posto dove esibirsi. Non è un caso che io, Daniele Tinti, Michela Giraud, Stefano Rapone e Carmine Del Grosso ci siamo esibiti tutti al primo Open Mic di Roma e poi abbiamo tutti continuato. Era una pentola a pressione che voleva esplodere.
Ⓤ: Pensa quanto conta la velocità di arrivare sulle cose.
Tantissimo. La storia dell’umanità ce l’ha abbondantemente dimostrato. Ma questo non significa che debba essere sempre una gara. Devi anche essere molto fortunato a volte. Io ero l’autore dei The Pills e Luigi Di Capua mi ha portato a vedere Edoardo Ferrario e siamo diventati amici. Magari a me bastava non incrociare loro.
Ⓤ: Ma ti guardavi gli americani?
Sì, da sempre. Appena arrivato YouTube. Ma anche prima, scaricavo da Internet. Ricordo una coppia di spettacoli abbastanza decisivi, Glorious e Dress to kill di Eddie Izzard, scaricati e visti con VLC in treno e mi ricordo che lì mi sono detto “non arriverò mai a questo livello ma se c’è la possibilità voglio provare”. La scena, se vuoi, è questa: alla millesima volta che mi ero rotto il cazzo di non fare niente al Centro Sperimentale, mi sono detto “che cazzo me ne frega di scrivere di ’sto qua, del fratello che ha perso la mamma nella Roma di periferia, eccetera. Io voglio far ridere”.
Ⓤ: A proposito di quella prima serata a quel primo Open Mic. Non ti sembra che gli altri stiano tutti mettendo un po’ il piede fuori dalla stand up mentre tu sia quello più verticale? Ad esempio Michela Giraud ha fatto il film, Tinti e Rapone sono a mille sul podcast, Edoardo Ferrario ora è fortissimo sul Gialappa’s Show.
Perché io sono una delle persone più centrate che la storia dello spettacolo italiano abbia mai conosciuto. O forse nessuno mi chiama per altro. No, scherzo. A me piace molto stare in tour, è la cosa che mi piace di più. Adesso mi fermo un anno e qualcos’altro farò. Però penso sia bellissimo per il pubblico vedere come tutti noi stiamo crescendo, disperdendoci nella società come ne La Piovra, la serie tv sulla mafia.
Ⓤ: Una volta hai detto che è difficilissimo scherzare sul calcio in Italia. Però tu un po’ lo fai. E poi non ti ho ancora chiesto niente di calcio o di tennis e a te esce in automatico, è più forte di te. Perché?
Perché di tantissime altre cose che esistono nel mondo, lo sport è molto semplice. Ci sono i bianchi e ci sono i neri. Ci siamo noi e ci sono gli avversari. Noi siamo giusti e gli altri sono sbagliati. Bisogna raggiungere un obiettivo facendo un gol rompendo una gamba: elementare. Il problema è quando applichi lo schema al resto del mondo, invece la società è fatta di un sacco di cose. Però è quello che sta accadendo: c’è gente che vive come se fosse in curva. E invece no, c’è lo sport per vivere i sentimenti semplici. E per semplici intendo ovviamente complicatissimi: la felicità, la rabbia. Lo sport è figo perché è così chiaro cosa devi fare o non fare. E il problema invece è che stiamo riversando queste emozioni in altro e quindi si tifa per cose per cui non si dovrebbe tifare, cose molto più complesse.
Ⓤ: Anche per i comici?
Certo. Il tifo è la specialità italiana, in tutto. A me piaci tu e solo tu e gli altri sono tutti delle merde. Ma non funziona così.
Ⓤ: Luca Ravenna e l’Inter. Come rappresentiamo il tuo interismo nel nostro film? Che momento scegliamo?
Ce ne sono veramente troppi. Ti dico l’ultima: quando ho incontrato Marcus Thuram al Man of the year di GQ. Gli ho detto: “Tu stai realizzando tutto quello che nella mia vita ho sognato di fare: segnare in quel modo al Milan, risegnare al Milan il 22 aprile vincendo lo Scudetto, sei il ragazzo più bello del mondo e il re della moda. Tutto quello che volevo essere io”. Lui è come un chirurgo. Ci tiene all’Inter, sono sicuro, ma è un super professionista e la scena che voglio rappresentare è quella in cui ancora, a 37 anni, veramente non mi arrendo all’idea che ci sia qualcosa che va oltre a questo mondo così becero che è il calcio. La tensione nel credere che ci sia qualcosa che va oltre i soldi alla fine del gioco. È il motivo per cui giochiamo.
Ⓤ: Hai fatto bere un bicchierino a Thuram?
Ha bevuto zero.
Ⓤ: Ci sei diventato amico?
Amico non lo so. Mi ha messo un like ma non il follow e so che un’amicizia vera si basa su queste cose.

Ⓤ: Ti ha fatto più piacere trovare Beppe Sala o Fabio Caressa ad un tuo spettacolo?
Non saprei mai scegliere. Fabio è la voce più importante dell’argomento più importante per gli italiani. Poi a parte il calcio è proprio #go parlare con lui, siamo diventati amici, ho anche presentato il suo libro. Mentre su Sala, a tutti farebbe piacere conoscere il proprio sindaco. Un giorno mi arriva una chiamata da un numero sconosciuto, rispondo e sento: “Ho saputo che mi prendi per il culo”.
Ⓤ: Luca Ravenna, 38 anni. 2025.
Io penso che chiunque segua lo sport si rapporti principalmente ai calciatori del proprio anno per capire a che punto della vita è. E quando inizi a vedere che si ritirano tutti, inizi ad intuire qualcosa. Io sono dell’87: Piqué fa la Kings League, Fàbregas allena il Como, Messi gioca in America ancora per poco anche se sempre bene per l’Argentina. Non so di quale attività farei la partita d’addio. Non di calcio, non di tennis, non di sport. Ma a 38 anni stai iniziando qualcos’altro.
Ⓤ: Ok, ti faccio un gioco che si chiama E SE.
Vai.
Ⓤ: E SE i The pills fossero stati un tridente del passato, quale tridente sarebbero stati?
Non è un tridente perché giocavano tutti i liberi però ti direi l’Olanda del ’74, cioè una squadra che ha cambiato il modo di percepire il gioco. Matteo Corradini è Neeskens, Luigi Di Capua è Ruud Krol e Luca Vecchi è Cruijff, perché lui era la mente a aveva un carattere anche molto forte. È tornato di moda l’attacco a due.
Ⓤ: E SE tu ed Edo Ferrario (con il quale ha avuto discreto successo con Cachemire Podcast, nda) foste una coppia d’attacco, chi sarebbe il 9 e chi sarebbe il 10?
Se fossimo Lautaro e Thuram, io sarei Thuram perché mi vesto meglio. Sennò per me la coppia per definizione sono i Calipso Boys dello United, Cole e Yorke. O da interista Diaz-Serena. Oppure Owen-Heskey o Sivori-Charles, per gli amici del dopoguerra. Comunque io sono il 10 e lui il 9: il gusto di Edo è spaccare la porta, inteso proprio come risata.
Ⓤ: E SE la tua partecipazione a LOL fosse stata una partita dell’Inter, quale sarebbe stata?
Ti direi Inter-Helsingborgs del 2000, il ritorno dei preliminari di Champions. Era facile, bastava vincere, hai avuto pure un rigore al novantesimo, l’hai sbagliato, però sei diventato leggenda perché una squadra così idiota come l’Inter di quell’anno non si era mai vista.
Ⓤ: Adesso ti chiedo dei consigli. Mi consigli un giovane comico?
Una giovane comica: Chiara Pagliaccia.
Ⓤ: Un giovane calciatore?
Per mettergli un po’ più di pressione addosso dico Camarda. Ma quanta pressione gli stanno mettendo addosso?
Ⓤ: Un giovane tennista?
Beh, ne abbiamo uno giovane e italiano che è il primo al mondo in questo momento. Poi a me piace molto Rune ma è piuttosto noto. Poi c’è Wild, brasiliano, un po’ pazzo. È molto figo. L’ho visto battere Davidovich Fokina in una partita in cui l’arbitro l’ha provocato tutta la partita e mi è piaciuto.
Ma in percentuale quanto calcio e quanto tennis guardi?
Calcio: l’Inter e tutti gli highlights che posso. Tennis: tutte le sintesi. Il tempo è quello che è.
Sinner come lo stai vivendo?
Non avrei mai pensato di viverlo, più che altro. Avere il numero uno al mondo italiano. Mi disgusta un po’ come lo ha trattato spesso la stampa prima che arrivasse lì. Ora invece cercano anche il maestro di San Candido per chiedergli che occhi avesse quando batteva allenandosi da piccolo in vacanza. Forse ci vuole più equilibrio.
L’hai conosciuto?
Sì, avevo un minuto con lui ad un evento Nike e gli ho parlato del Montebello Open mentre lui fingeva di ascoltarmi brandendo il suo orologio da 20 milioni di euro sperando di liberarsi di me. (Il Montebello Open è sostanzialmente una sfida di mini-tennis casalingo che i fratelli Ravenna mettono in scena d’estate nella loro a casa al mare. Lo definiscono il primo slam italiano, nda).
Ⓤ: Avrai ospiti al Montebello Open?
Sì, il mio obiettivo è trovare uno sponsor tecnico per le magliette (ci sto lavorando) e portare il mini-tennis a tutti. Io voglio fare la presa in giro di un torneo di tennis, come faceva Tognazzi che faceva questo mega torneo con tutti i vip. Devo far giocare 16 o 32 persone con tabellone tennistico, con la festa, la musica, tutti che bevono e tutti vestiti di bianco.
Ⓤ: Mi consigli anche un vecchio film?
Santa Maradona.
Ⓤ: Un posto a Milano?
Gerri in via Perugino è il miglior posto per bere.
Ⓤ: Un posto a Roma?
La camminata che si fa da via Merulana. Sali su, arrivi a piazzale San Giovanni a destra, scendendo verso il Colosseo trovi queste tre vie con posti uno più bello dell’altro. Ti perdi tra suore e conventi ma lì è proprio Grande Bellezza.
Ⓤ: Mi consigli come aprire un Open Mic?
Chiedere “quanti di voi sono nati qui?”, soprattutto se tu non sei del posto. Perché o’re a tutti la possibilità di entrare nel tuo personaggio e prepararsi al racconto. Cioè presentarsi, banalmente. Dire Piacere, sono Luca.