La Juventus di Sarri sta ancora costruendo la sua identità

La transizione tra vecchio e nuovo è più difficile del previsto.

Due sconfitte consecutive in trasferta sono un evento raro per la Juventus, almeno in tempi recenti: se le partite perse contro Roma e Sampdoria della scorsa stagione, a scudetto già acquisito aritmeticamente, possono fare testo fino a un certo punto, bisogna risalire alla primavera 2015 e alle sconfitte contro Parma e Torino per avere una statistica più rilevante. Anche in quel caso, tuttavia, i bianconeri allenati da Massimiliano Allegri erano nella condizione di gestire un comodo vantaggio sulla Roma seconda in classifica, potevano permettersi di preservare le energie fisiche e mentali per un percorso in Champions League che li avrebbe portati fino alla finale di Berlino. Ancora più significativo è il dato riportato da Giuseppe Pastore de La Gazzetta dello Sport, per cui la Juventus ha perso solo un’altra partita di Serie A, negli ultimi trent’anni, dopo essersi trovata in vantaggio al 75esimo minuto: il 30 ottobre 2013, la Fiorentina era sotto 2-1 e alla fine vinse per 4-2, grazie ai tre gol realizzati in cinque minuti da Giuseppe Rossi e Joaquín.

In questi anni, quella dell’eccezionalità, o comunque dell’irripetibilità, è stata l’unica chiave di lettura possibile per decifrare i rari passi falsi all’interno di una stagione lunga nove mesi. In questo senso, quindi, la sconfitta di Verona, insieme quella precedente di Napoli, rappresenta il primo, vero elemento di discontinuità all’interno del racconto della “Juventus che queste partite non le sbaglia”, filo conduttore delle stagioni degli otto scudetti consecutivi. Eppure, al di là di narrazioni e statistiche, le difficoltà attuali dei bianconeri sono la diretta conseguenza di una lunga serie di cortocircuiti strutturali e di campo cui Maurizio Sarri sta faticando a porre rimedio. Perché non è più, e non è solo, una questione di discontinuità fisiologica in un stagione in cui si è optato per un cambio filosofico prima ancora che di guida tecnica: dopo un inizio incoraggiante, infatti, la Juventus attuale è una squadra ancora in cerca della sua identità, per cui il compromesso tra vecchio e nuovo che si sta rivelando dannoso, tanto nell’immediato quanto per le prospettive a medio-lungo termine.

L’impressione è che Sarri sia stato completamente fagocitato dall’esigenza di dover trovare a tutti i costi un equilibrio tra le sue idee e le caratteristiche di una squadra che non è stata costruita da e per lui. E se quello del player development è uno dei pochi aspetti sui cui sembra difficile muovergli appunti – Ronaldo ha già eguagliato il numero di reti dello scorso campionato, Dybala è tornato su alti standard di rendimento, Bentancur si è affermato definitivamente,  Alex Sandro ha ritrovato continuità, Pjanic ha iniziato benissimo la stagione come regista – la scelta di Sarri di adeguarsi alla Juventus piuttosto che trasformarla ha prodotto un ibrido difficilmente valutabile per potenzialità e criticità.

Snaturando se stesso, il tecnico toscano ha finito con lo snaturare anche la sua squadra, soprattutto in quelli che erano i punti di forza che intendeva mantenere: oltre alle croniche difficoltà nell’implementare una fase di riaggressione continua ed efficace nella metà campo avversaria, la Juve attuale soffre tremendamente il pressing avversario. E oltretutto non è più in grado di difendersi al limite e dentro l’area di rigore, pur manifestando la tendenza a scappare all’indietro e ad abbassarsi quando si alzano i ritmi, pagando costantemente dazio al cambio campo e presentando non poche difficoltà nella copertura del lato debole e dell’ampiezza in generale.

Al netto degli errori individuali di Bentancur e Pjanic, la rete di Borini è il manifesto della pericolosa tendenza della Juventus a difendersi per blocchi posizionali bassi, quasi “portandosi” gli avversari dentro l’area di rigore: delle 16 conclusioni del Verona verso la porta di Szczesny ben 13 sono arrivate negli ultimi 16 metri

In fase di possesso, poi, la metafora del “personaggio in cerca d’autore” è ancor più evidente: la scelta di costruire gran parte del proprio sistema offensivo su Douglas Costa, che ha puntualmente manifestato la sua inaffidabilità fisica, ha costretto Sarri a tornare inizialmente al 4-3-1-2 di Empoli. Un modulo che ha pagato i suoi dividendi fin quando Pjanic è stato in grado di giocare e pensare velocemente in verticale, diventando il centro di gravità della manovra, nel bene e nel male. Nel momento in cui la prima contromisura degli avversari è diventata schermare il bosniaco sulle tracce interne, però, la trasmissione della palla e la ricerca dell’uomo libero tra le linee nell’ultimo terzo di campo è diventata farraginosa, lenta e inefficace. A quel punto tornare al 4-3-3 è stata una scelta fisiologica: l’idea di Sarri era un sistema talvolta “spurio”, con Dybala a entrare dentro il campo partendo da destra e con Ronaldo a tagliare verso il centro sfruttando i movimenti di Higuaín. Solo che questo ritorno al passato ha avuto un esito discontinuo, così come discontinua è la capacità di sfruttare a proprio vantaggio il pressing avversario in funzione della creazione di uno spazio che favorisca l’attacco della profondità da parte di Ronaldo nei modi e nei tempi che gli sono più congeniali.

La gara di Verona è la rappresentazione plastica di questo concetto: le occasioni sul finire del primo tempo, a eccezione dell’estemporanea traversa di Douglas Costa, sono arrivate nel momento in cui la Juventus è riuscita a sfruttare a proprio vantaggio l’aggressività della linea difensiva di Juric. Negli altri segmenti di partita, il pressing del Verona ha fatto sì che si manifestasse il grande problema della Juventus in questo ultimo periodo: la sterilità offensiva. Che si riscontra nel numero di gol segnati da centrocampisti e attaccanti – su 21 reti realizzate nelle ultime 10 gare di Serie A, 15 sono state firmate da Ronaldo e solo altre due dai suoi compagni di reparto –, ma soprattutto nel calo di occasioni create. Una differenza netta con i primi mesi quando, anche nelle partite meno brillanti, era evidente la ricerca scientifica dell’applicazione di quanto provato in allenamento.

Dybala si abbassa per favorire l’uscita palla, Ronaldo attira Rrahmani fuori dalla sua zona di competenza e crea lo spazio in verticale attaccato magistralmente dopo aver scambiato con Bentancur. Una delle poche occasioni in cui la Juventus è riuscita a volgere a proprio favore l’aggressività senza palla del Verona

È chiaro come la Juventus, oggi, non riesca ad andare oltre un’espressione a sprazzi della propria volontà di potenza. Ed è evidente come ci siano delle ripercussioni psicologiche e motivazionali: la squadra di Sarri, di fronte alle difficoltà, tende a rifugiarsi in una comfort zone che però non è più tale a causa di un cambiamento di sistema che sta procedendo più lentamente del previsto a causa dei limiti strutturali della rosa e della ricerca forzata del compromesso. È come se i giocatori cercassero inconsciamente di tornare a un passato familiare, di variare e gestire il ritmo nei vari momenti della partita, solo che certi dettami non sono più applicabili per la mancanza degli strumenti tattici e delle sovrastrutture necessarie, individuali e di squadra.

E quando Sarri parla di qualcuno che gli possa «dare una mano», si riferisce a una presa di coscienza collettiva e condivisa su ciò che la sua Juventus è, e soprattutto su ciò che la Juventus vuole diventare – al di là del fatto che i bianconeri restano pienamente in corsa per tutti gli obiettivi, nonostante tutto. Ora c’è da capire quale direzione prendere al primo di tanti bivi decisivi nel percorso intrapreso con una scelta di coraggiosa discontinuità con il recente passato. E non si capisce il motivo per cui chiedere all’allenatore di riprendere la strada che si è voluta abbandonare nel momento si è seduto sulla panchina della Juventus, proprio per provare a cambiarne la mentalità.