Sette belle sorprese della Serie A 2022/23

Giocatori, allenatori e storie che non ci aspettavamo, e che hanno reso bellissimo questo campionato.

Per salutare la Serie A che è appena finita, ovviamente in attesa dello spareggio salvezza tra Spezia e Verona, la redazione di Undici ha scelto di raccontare un po’ di storie, ovvero quelle che secondo noi hanno reso indimenticabile questo campionato. Così abbiamo organizzato due tavole rotonde con alcune delle firme che leggete più spesso sulle nostre piattaforme. La prima è questa, ed è dedicata a quei personaggi – giocatori e allenatori, non ha importanza – che hanno fatto molto bene in modo inatteso, che ci hanno sorpreso, stupito, ovviamente in positivo. Ci saranno modo e spazio e tempo per parlare anche delle cose che sono andate meno bene, ma per il momento ecco a voi sette belle storie della Serie A edizione 2022/23. Senza ordine di classifica, senza paletti, in ordine del tutto casuale, o quasi.

Ora tutti invidiano i nostri portieri

Di una stagione si ricordano le vittorie, e delle vittorie si ricordano i gol – perché focalizzano il momento stesso in cui prorompe l’esultanza, e l’esultanza è eccitazione, e l’eccitazione è la sostanza stessa della vittoria. Ogni tifoso ha il suo archivio mnemonico su misura, con i propri ricordi e di conseguenza vittorie e gol, ma di una stagione – di questa stagione di Serie A, in particolare – si dovrebbe ricordare anche altro: le parate, per esempio. Il triplo intervento di Guglielmo Vicario all’Olimpico, contro la Roma, equivale a un coast-to-coast dalla propria metà campo fino alla porta avversaria dribblando i difensori uno dietro l’altro – una di quelle prodezze che, ci fossero ancora i VHS, finirebbero, appunto, su un VHS celebrativo.

E pensare che Vicario è solo il terzo portiere della Nazionale, dietro Donnarumma e Meret, un altro che questa stagione se la ricorderà certamente per tutta la vita, ma è ancora più sorprendente pensare cosa c’è dietro Vicario, cioè tutti quei numeri uno italiani che quest’anno in Serie A sono stati protagonisti di stagioni memorabili – e per alcuni di loro, come Provedel e Di Gregorio, il posto da titolare non era nemmeno garantito a inizio anno. Un titolo di merito che ci teniamo e di cui ci vantiamo: quale altro Paese può competere con noi in fatto di guantoni? (Francesco Paolo Giordano)

Alex Meret ha riportato tutto a casa, finalmente

Sono 16 partite su 34 a porta inviolata, per Alex Meret, alla fine di questa Serie A. Meglio di lui in Europa soltanto in tre: Ter Stegen, Provedel e de Gea. Due di questi portieri giocano in squadre che non hanno vinto il campionato, e va bene, quindi la statistica, di per sé, non spiega troppe cose. Però Alex Meret quest’anno ha stupito tutti, e forse in primi i suoi stessi tifosi, per diversi altri motivi. Nessun errore che si ricordi, né insicurezze a lungo termine, in tutte le 34 partite giocate. Questa era la cosa meno scontata, forse: perché gli sbagli erano stati qualcosa a cui Meret aveva abituato, negli anni precedenti. Soprattutto durante la gestione Gattuso, in cui la porta era divisa, nello stesso campionato, più o meno a metà tra lui e Ospina. Ma un portiere non può performare al meglio se non messo a suo agio, e questo si inserisce quindi tra i grandi meriti di Spalletti e i demeriti dell’ex allenatore del Valencia.

Meret è sempre stato tecnicamente straordinario, fin dai tempi della Spal, come ha confermato Luca Marchegiani, poche settimane fa, incoronandolo come il migliore del campionato, in quanto a fondamentali. Quello che mancava era la solidità per non sbagliare mai, e quella è eterea, inafferrabile: mentale. La straordinaria stagione di Meret si spiega sì con il rigore parato a Colombo del Lecce, con quelle dita che spingono la cannonata di Piatek sul palo, con il balzo con cui alza il colpo di testa di Giroud, ma soprattutto con la costanza con cui il Napoli, anche dopo il lungo stop dei Mondiali, anche quando, in primavera, sembrava poter accusare un calo di concentrazione, è rimasto difensivamente sempre a galla. La Lega Serie A ha nominato il trittico dei migliori numeri uno dell’anno, scegliendo Provedel, Di Gregorio e Skorupski. Contenti loro. Ma se Alex Meret non è il miglior portiere italiano, oggi, allora non so chi possa esserlo. (Davide Coppo)

Una parata che molti forse non ricorderanno, ma che è davvero bellissima

Romagnoli, Casale e la difesa impenetrabile della Lazio

I meriti di Maurizio Sarri per il secondo posto della Lazio, quindi per il ritorno in Champions League dei biancocelesti, sono enormi. Al di là delle solite, noiose ciance sul suo calcio divertente e sofisticato, il vero miracolo di Sarri è la cancellazione di quella mentalità difensiva che ormai sembrava aver messo le radici a Formello. Per capire cosa intendiamo, è giusto porsi un paio di domande. La prima: in quanti pensavano che la Lazio avrebbe potuto staccarsi dal sistema di marcature di Simone Inzaghi e sarebbe diventata una squadra che difende guardando sempre la palla? E poi la seconda, ancora più importante: in quanti pensavano che questo cambiamento avrebbe portato la Lazio ad avere la seconda difesa meno battuta del campionato, subito dietro il Napoli dei record? Diciamolo: in pochi, anzi pochissimi, l’avrebbero pensato. Forse tra questi ci sono quelli che hanno studiato davvero Sarri, e allora sanno che il Sarrismo, se esiste, è tutto basato su una solidissima scienza dell’evoluzione difensiva.

Certo, sull’upgrade difensivo della Lazio pesano molto l’arrivo – in punta di piedi – e la successiva esplosione di Ivan Provedel, un portiere perfetto per questo tipo di calcio. Ma, al netto dell’impatto di Provedel, ecco ecco un’altra domanda provocatoria: in quanti pensavano che Alessio Romagnoli e Nicolò Casale potessero formare la coppia di centrali con il miglior rendimento in Serie A? Pochi, pochissimi. Anche meno di quelli di prima. E allora gli enormi meriti di Sarri vanno ricercati pure nel ritorno ad alti livelli di un giocatore letteralmente epurato dal Milan – nonostante fosse il capitano dei rossoneri – dopo un’evidente regressione, così come nella crescita mostruosa di un 25enne alla sua seconda stagione in Serie A. Romagnoli e Casale sono stati scelti per giocare in un certo modo e sono risultati perfetti per trasformare la teoria in pratica, per disegnare un nuovo Sarrismo, forse meno spettacolare ma anche meno ideologico rispetto al passato. Si sono meritati la chance di confrontarsi con la Champions, con i migliori attaccanti del mondo, quindi con difficoltà e pressioni altissime. Sarà interessante capire se potranno ripetersi su questi standard di rendimento: per la Lazio, sarebbe un’ulteriore conferma di aver fatto la scelta giusta scegliendo Sarri, sposando le sue idee, le sue indicazioni sul mercato. (Alfonso Fasano)

Nuove dinastie che fioriscono a centro-classifica

In un campionato a venti squadre la zona centrale della classifica è fatta da squadre troppo forti per retrocedere e non abbastanza attrezzate per accedere alle coppe europee. Sono squadre che possono perdere motivazioni e pressione molto presto, e il loro campionato spesso ruota attorno alla valorizzazione del talento, la ricerca di nomi nuovi da sviluppare, gettare le basi per affrontare con la stessa serenità anche la prossima stagione. Quest’anno la middle class ha raggiunto i suoi obiettivi e la sensazione è che tutto sia nato dal lavoro degli allenatori: Thiago Motta e Italiano, Palladino e Sottil e Juric, hanno costruito squadre con un’identità ben definita, con un’anima e uno stile che hanno dato a ogni partita una ragione d’esistere, e allo spettatore un motivo per guardarle. Non a caso alcuni di questi allenatori in estate potrebbero finire all’Atalanta, alla Roma, alla Lazio, al Napoli, o magari in Premier League. E lo stesso vale per i loro giocatori: tra quante sessioni di mercato Posch finirà in Inghilterra? E Bijol e Lovric potranno rimanere a Udine a lungo? Il Monza aveva delle individualità forti già dalla scorsa estate, ma nella stagione di Rovella, Carlos Augusto, Ciurria e Colpani c’è un prima e un dopo Palladino. Ci sono cento motivi validi per ridurre il numero di squadre in Serie A, ma almeno quest’anno chi cerca una buona argomentazione per non farlo può dire che si perderebbe questo piccolo tesoro. (Alessandro Cappelli) 

E allora parliamo di Carlos Augusto 

Leggere la parabola sportiva di Carlos Augusto Zopolato Neves con le categorie narratologiche del viaggio dell’eroe di Christopher Vogler è fin troppo facile, ma anche esatto. Atto I: La chiamata all’avventura. Al piccolo Carlos non interessa nemmeno giocare a calcio, ma se sei brasiliano non hai scelta: devi giocare e devi pure farlo bene. A lui non riesce granché, gli altri bambini di Campinas, San Paolo, lo prendono in giro chiamandolo “gamba di legno”. Allora per il suo sesto compleanno si fa regalare l’iscrizione alla scuola calcio e le cose migliorano così in fretta da portarlo alle giovanili del Corinthians, dove a 17 anni arriva la prima svolta: «Se non avessi cambiato ruolo non avrei mai sfondato. Pensavo che il calcio non facesse per me». Da attaccante si reinventa terzino e nel 2020, per quattro milioni di euro, diventa il giocatore più costoso della storia del Monza.

Atto II: L’iniziazione. Nelle prime due stagioni Carlos Augusto domina fisicamente e tecnicamente la Serie B come braccetto di sinistra nei tre dietro, entrando nella top 11 del campionato e contribuendo alla storica promozione. Poi l’inizio difficile quest’anno in serie A, col Monza che raccoglie cinque sconfitte nelle prime sei partite. Ma il viaggio dell’eroe è il viaggio del protagonista attraverso le prove che lo porteranno a una nuova dimensione, più autentica e compiuta, grazie anche e soprattutto all’aiuto di un mentore, che in questo caso risponde al nome di Raffaele Palladino. È lui a ridare entusiasmo e idee alla squadra e a trovare l’intuizione decisiva, alzandolo a quinto di sinistra in un 3-5-2 leggero e verticale. Risultato: sei gol, cinque assist e un giocatore che alla soglia dei 24 anni diventa un esterno moderno, a tutta fascia, totale. Il Monza si salva con sei giornate d’anticipo e chiude 11esimo in classifica. Nelle ultime settimane si parla dell’interessamento di Inter e Juventus, oltre a una possibile chiamata di Mancini in Nazionale. E allora vedremo se il nostro eroe riuscirà a superare la prova più difficile del suo viaggio, quella in cui deve dimostrare tutto il suo valore prima dell’Atto III: Il ritorno a casa, trasformato. (Gianluca Herold

Della brutalità di Rasmus Hojlund

Domenica 15 gennaio 2023 a Bergamo piove, la luce è scomparsa da un pezzo e l’Atalanta ospita la Salernitana. Al 17° minuto del primo tempo, sul risultato di 1-1, Rasmus Højlund riceve il pallone sul lato corto dell’area di rigore, lo controlla con il petto, lo protegge allargando la gamba destra e Federico Fazio lo travolge da dietro: rigore. Poco dopo — intanto il punteggio è già sul 3-1 — Højlund entra in area da sinistra, sterza con il tacco sul destro e Fazio lo sgambetta: altro rigore. Al 41° De Roon lo lancia in contropiede, Lovato liscia l’intervento e Højlund è uno contro uno con Fazio a 40 metri dalla porta: l’attaccante danese vince un mismatch imbarazzante e segna il 5-1 con un sinistro incrociato nell’angolino. Rasmus Højlund è il 2003 che ha realizzato più reti in Serie A (otto) e c’è solo da scommettere a quanti milioni l’Atalanta lo venderà questa o la prossima estate. L’11 febbraio, dopo il clamoroso gol alla Lazio, Marco Maioli ha twittato: «Højlund da qui a giugno chiude la carriera a un po’ di difensori». Sapete quanti minuti ha giocato Fazio in tutto il campionato dopo Atalanta-Salernitana 8-2? Tredici. (Francesco Caligaris)

Cuando corre con el balón es un auténtico búfalo: questo è il primo commento che trovate su YouTube, sotto questo video

Paulo Sousa, fiducia e conoscenza

Il 13 maggio, dopo la vittoria sull’Atalanta arrivata grazie a un gol di Candreva nei minuti di recupero, Paulo Sousa ha tenuto una lectio magistralis più che una conferenza stampa. In nemmeno 15 minuti il tecnico portoghese non ha solo spiegato tatticamente la partita ma ha cambiato il modo in cui siamo stati abituati a percepire e raccontare le stagioni delle piccole, andando oltre le categorie narrative della grinta, del sudore, delle gare lacrime e sangue, del sacrificio a ogni costo per colmare la distanza con le squadre tecnicamente più forti: quante altre volte avete sentito un allenatore della Salernitana – o equivalenti – parlare dell’importanza di «creare una cultura vincente» e della necessità che la mentalità cresca anche dopo la conquista della salvezza? Nelle parole di Sousa, subentrato a Davide Nicola a metà febbraio, c’è il motivo per cui la Salernitana si è salvata in tranquillità nonostante 11 sconfitte nelle prime 22 partite, cioè la fiducia in ciò che si fa, in ciò che si studia, in ciò che si prepara in settimana, la consapevolezza che nel calcio si vince – e ci si salva – giocando a calcio, appunto. I risultati della squadra granata, la salvezza, così come i record sulla media punti o sulle gare consecutive senza sconfitte, sono state solo la naturale conseguenza di questo approccio. (Claudio Pellecchia)