Su YouTube l’unica testimonianza dei 13 minuti di Noah Okafor contro la Roma è questo video di neanche 90 secondi in cui si vedono nell’ordine: un cross basso respinto dai difensori, un paio di corse all’indietro in ripiegamento, una lunga serie di scatti con e senza palla per aiutare il Milan a risalire il campo nel momento di massima pressione della squadra di Mourinho, un cartellino giallo rimediato per una trattenuta su Zalewski lanciato in ripartenza, almeno tre punizioni guadagnate nella metà campo offensiva dopo aver spezzato il raddoppio di marcatura portato contro di lui. Alla luce di questo video, se dovessimo trovare una locuzione adatta per descrivere una prestazione di questo tipo potremmo dire che Okafor si è immolato per la causa, riuscendo comunque ad avere impatto in una partita, anzi in uno spezzone della stessa, in cui non ha mandato a referto un gol, un assist o qualsiasi altro dato statisticamente rilevante.
Tuttavia è proprio attraversi questi intangibles, cioè tutte queste piccole cose fondamentali che si perdono durante le partite, che i tifosi del Milan hanno misurato e stanno misurando il successo e l’efficacia del calciomercato estivo. Insomma, la bontà del lavoro fatto dalla società rossonera non può dipendere solo dai due gol nelle prime tre gare in Serie A di Christian Pulisic o dal 90% di precisione su oltre 30 passaggi di media che Tijjani Reijnders ha fatto registrare nei suoi primi 270 minuti da titolare, ma che si sostanzia in quel concetto di funzionalità che costituisce l’unico metro di giudizio realmente efficace di una campagna acquisti.
Da questo punto di vista, e in attesa di capire quando e come si inseriranno Yunus Musah e Samuel Chukweze, si può perciò affermare che il Milan di questo avvio di stagione, una squadra che ha ritrovato forza, voglia, gioco, entusiasmo e vetta della classifica, sia figlio di un mercato funzionale e modulato secondo le esigenze di Stefano Pioli: «Il club e i dirigenti hanno ascoltato i miei consigli riguardo alle caratteristiche dei giocatori che cercavo. Vogliamo essere ambiziosi perché sono arrivati giocatori forti» aveva dichiarato il tecnico alla vigilia della partita di Bologna. Oggi il Milan può permettersi di guardare con fiducia e ottimismo al futuro: quello rossonero è un mondo completamente diverso rispetto a tre mesi fa, quando l’ambiente era depresso, praticamente da ricostruire dopo essere stato devastato da una serie di terremoti tecnici ed emotivi dall’intensità varia e variabile. Cosa è successo?
I problemi dell’ultimo Milan erano la diretta conseguenza di un mercato sbagliato: Pioli non era riuscito a trovare una dimensione collettiva ideale affinché il talento individuale riuscisse ad esprimersi, anche a causa della componente psicologica che lo ha spesso portato a fidarsi solo dei suoi giocatori, quelli con cui aveva vinto lo scudetto. L’esempio più ovvio, a seguito di un inizio di stagione molto positivo con l’Atalanta, è quello di Charles De Ketelaere, che ha cominciato a dimostrare il suo valore non appena si è visto inserito in un progetto tecnico che per la sua stessa natura è impostato sul player trading e su un continuo ricambio generazionale; ma è anche quello di Yacine Adli, appena 141’ in sei presenze (una sola da titolare) nel 2022/23: «L’ho trovato motivato ma lo è sempre stato, malgrado l’abbia impiegato poco in passato. Se vuole giocare anche in quella posizione, deve lavorare e migliorare dal punto di vista difensivo e del posizionamento ma ha già dato la disponibilità per farlo. E poi può giocare anche mezzala», ha detto recentemente Pioli parlando della possibilità di impiegare l’ex Bordeaux come regista al posto dell’infortunato Bennacer. Segno che la predisposizione all’inserimento e alla sperimentazione è cambiata, e in meglio, al di là del livello dei singoli interpreti e del minutaggio effettivo che potrà essere loro garantito – lo stesso Adli deve ancora fare il suo esordio stagionale.
Questa è la chiave di lettura che schiude le porte di due ordini di valutazione. Il primo è di natura strettamente oggettiva: rispetto allo scorso anno il Milan è una squadra nettamente migliore in termini di qualità complessiva della rosa, lunghezza e profondità della panchina, completezza delle alternative a disposizione dell’allenatore. Il primo nome che viene in mente è quello di Marco Sportiello, che già sulla carta potrebbe essere considerato un upgrade rispetto a Tatarusanu, soprattutto se continueranno a persistere i dubbi sulle condizioni fisiche di Maignan.
Focalizzandoci, poi, sul reparto offensivo, quello che è stato maggiormente stravolto dagli investimenti estivi, è impossibile non notare come il classico gioco delle coppie sia diventato molto più interessante per Pioli. Soprattutto perché ora il Milan è più lontano da quell’idea di dipendenza, tecnica, ma non solo tecnica, da Rafael Leão. Cioè qualcosa che a maggio aveva finito con il prosciugare la riserva di energie nervose necessarie ad affrontare una semifinale di Champions League che mancava da 16 anni: il portoghese e Giroud erano gli insostituibili per eccellenza di un tridente sghembo che Pioli doveva completare di volta in volta da Messias, Brahim Díaz, Saelemaekers, Rebic, Origi; una condizione che, da emergenziale, era diventata la normalità. Oggi invece sul lato opposto rispetto a Leão agisce Christian Pulisic, un altro generatore di occasioni in grado di tagliare il campo palla al piede – così come Okafor e Chukweze che per caratteristiche sono allo stesso tempo complementari e alternativi ai due titolari. Persino Luka Jovic, o almeno il Luka Jovic nella sua versione minore vista da quando è in Italia, sembra avere un senso, o comunque una sua utilità, in un contesto del genere.
Ora parliamo anche di Tijjani Reijnders
Se guardiamo a quanto visto in queste prime gare, si può dire che il Milan andrà al ritmo del calcio espresso dalle sue due nuove mezzali, Loftus-Cheek e Reijnders. Sono, rispettivamemte, l’incursore e il regista di una squadra che si sta abituando a giocare e pensare in verticale, che sta finalmente imparando a riempire l’area con almeno cinque giocatori senza aspettare che l’esterno a piede invertito si isoli in uno contro uno per creare da solo situazioni di superiorità numerica e posizionale, che sta vivendo non più degli strappi dei singoli ma su un flusso di energia continuo, costante, inesauribile, collettivo.
«Quest’anno voglio un Milan felice, fatto di giocatori felici di stare insieme e di proporre un certo tipo di calcio. Crediamo di aver intrapreso la strada giusta con giocatori di qualità, in grado di garantire una maggior gestione della palla e delle situazioni offensive. Tutto questo per essere una squadra ancor più offensiva e dominante. Nella metà campo offensiva vorrei dei giocatori capaci di fare le scelte giuste al momento giusto, cosa che non sempre ci era riuscita. Continuo a credere che diverse caratteristiche, in un sistema di gioco ben definito, possano dare una imprevedibilità in più alla squadra». Pioli ha detto queste parole in un’intervista a Sky Sport. Era il 21 luglio, nemmeno due mesi fa: il giugno da incubo era distante appena tre settimane eppure nessuno ci pensava già più. Potenza del calciomercato, anzi di un calciomercato fatto bene.