Come si vincono, oggi, un campionato e/o un grande trofeo internazionale? Oppure, per dirla meglio: nel calcio contemporaneo, come si fa a ottenere risultati d’eccellenza o comunque migliori rispetto alle aspettative iniziali? Per queste domande, naturalmente, non esistono risposte fisse, valide in ogni contesto e in tutte le circostanze. Ogni dirigente – ma lo stesso discorso vale anche per ogni tifoso, per ogni appassionato – ha un suo modello di riferimento, un suo approccio, un suo modo di vedere il calcio e il business che gira intorno a ciò che succede in campo. Per dirla con parole semplici: la storia del pallone ci dice che si può vincere in tanti modi diversi. E non stiamo parlando di tattica, del fatto che si possano battere gli avversari schierando tre punte pure o due centrocampisti più difensivi, ma di strategie di costruzione delle squadre: negli ultimi anni, infatti, gli albi d’oro della Serie A e delle coppe europee sono stati compilati con nomi di club lontanissimi tra loro, anche e soprattutto dal punto della programmazine. Basti pensare allo scudetto conquistato dal Milan 2021/22 e a quello vinto dall’Inter 2023/24, oppure al Napoli campione d’Italia 2023 e alla Juventus dei nove titoli consecutivi tra il 2012 e il 2020, oppure ancora alle enormi differenze tra Real Madrid, Atalanta e Manchester City, tre club che hanno conquistato un trofeo europeo negli ultimi due anni.
Tra tutte queste società c’è un unico punto in comune: negli anni dei loro successi, hanno avuto e hanno manifestato un’identità profonda e riconoscibile. In campo e fuori. Anzi, in realtà le cose sono concatenate: l’identità manageriale ha in qualche modo determinato le strategie di reclutamento e poi anche quelle tattiche, fino a comporre un mosaico completo e coerente. Per capire meglio cosa intendiamo, basta consultare l’elenco dei vincitori del premio “Migliore società” nell’ambito del Gran Galà del calcio AIC, il grande evento che ogni anno elegge i migliori giocatori, allenatori, club e arbitri del calcio italiano: il primo riconoscimento, quello dell’edizione 2011, è andato all’Udinese; tra il 2012 e il 2018, il premio è sempre andato alla Juventus; nel 2019 e nel 2020 la miglior società è stata l’Atalanta; nelle ultime tre edizioni, infine, i club più votati – dai giocatori di Serie A e Serie B, dalle giocatrici di Serie A, da altre grandi professionalità del nostro movimento – sono stati Inter, Milan e Napoli. Ecco, tutte queste squadre hanno saputo mettere a punto un modello virtuoso. E proprio grazie a questo modello sono arrivate a cogliere grandi risultati.
Tutto, come detto, parte dal vertice della piramide. Da un indirizzo chiaro impartito dalle società. E in questo senso non ci sono limiti alla creatività progettuale: l’Udinese e l’Atalanta hanno sempre lavorato partendo dalla valorizzazione dei giovani talenti e dallo scouting, ed è così che – in tempi diversi, con modalità diverse – si sono imposte come due squadre in grado di coniugare brillantemente investimenti fatti, riscontri economici e risultati ottenuti sul campo; il Milan e il Napoli sono tornati a vincere lo scudetto soprattutto grazie ai campioni di prospettiva pescati all’estero, ai vari Leão, Maignan, Osimhen e Kvaratskhelia; Juventus e Inter, invece, sono arrivate e si sono mantenute al top partendo da una politica di mercato diversa, allestendo organici più maturi.
L’elenco di società premiate al Gran Galà del calcio AIC racconta che i mezzi finanziari contano molto, certo, ma non sono tutto. Dimostra che le idee, talvolta, possono essere persino più importanti dei soldi. Nel senso: inventare e coltivare nel tempo una managerialità efficiente ha permesso a diversi club, non per forza ricchi o ricchissimi, di migliorare il proprio status. Perché costruire un’identità in grado di sopravvivere per più stagioni, dar vita a delle vere e proprie squadre-brand che riescono a concretare sul campo un modello di business, è un modo per ridurre – o addirittura per cancellarle del tutto, in alcuni casi – le distanze economiche. Anzi, forse è l’unico modo per riuscirci, perché il calcio continui a essere parzialmente imprevedibile. E, quindi, appassionante.
Da questo punto di vista, sono anni che la Serie A dà degli ottimi segnali: per quanto sopravvivano alcune criticità storiche, prima tra tutte quella che riguarda l’incapacità di costruire dei nuovi stadi o di ristrutturare quelli vecchi, molti club hanno saputo strutturarsi e lavorare in modo fantasioso ma anche realistico, nel senso di proficuo e lungimirante. Volete qualche esempio che esca fuori dal circolo ristretto delle big? Eccolo qui: il Bologna che torna in Champions sessant’anni dopo l’ultima volta; la Fiorentina che raggiunge due finali europee in due stagioni e ora è terza in classifica; il Verona, il Lecce, adesso anche il Como. I progetti di queste società, ovviamente da pesare e da contestualizzare caso per caso, in base alle rispttive potenzialità economiche, seguono la strada tracciata dalle grandi squadre. O da quelle squadre che sono diventate grandi partendo da dietro.
Insomma, nel calcio contemporaneo i grandi risultati non sono mai frutto di un exploit improvviso, isolato, del tutto inatteso. Può succedere, è successo, ma casi come quello del Leicester – tanto per fare un esempio di rilievo – sono praticamente irripetibili. La realtà cammina in modo decisamente meno romantico, ma anche più meritocratico: le proprietà, i dirigenti e gli allenatori che sanno dare un’identità forte e virtuosa ai club per cui lavorano, che pensano e agiscono in questo senso, vengono ricompensati sul campo, E non solo: anche i tifosi, i giornalisti, i loro stessi colleghi non possono fare altro che riconoscere i loro meriti. E così finiscono per apprezzarli, per imitarli. Per premiarli, come succede ogni anno al Gran Galà del Calcio.