Tutti dovrebbero andare a lezione di calcio da Real Madrid e Manchester City

I soldi non bastano, bisogna saperli gestire. Lo dimostrano i due club che stanno dominando il panorama europeo attuando modelli lontanissimi ma vincenti.

I tradizionalisti e i nostalgici – due categorie di persone che spesso finiscono per sovrapporsi, per confondersi – finiranno per inorridire, è inevitabile. Ma la realtà dice che il club più prestigioso del calcio mondiale, ovviamente stiamo parlando del Real Madrid, in questo momento può rivaleggiare soltanto con il Manchester City, vale a dire con una supersquadra diventata tale negli ultimissimi anni, che fino al 2012 aveva una storia imbevuta di sfiga cosmica e una bacheca poverissima di trofei, che ha costruito la sua leggenda postmoderna grazie ai capitali di una proprietà lontanissima dagli usi e dai costumi europei, e non solo per la sua provenienza geografica. Lo ha spiegato per anni Agatha Christie: tre indizi fanno una prova. Nel caso di Real Madrid e Manchester City ci sono esattamente tre indizi inequivocabili, cioè tre doppi confronti in Champions League che hanno segnato la nostra epoca e una distanza enorme rispetto al resto della nobiltà continentale, quattro semifinali e un quarto di finale – in attesa della gara di stasera – che hanno mostrato il meglio del meglio del calcio contemporaneo, ed è un discorso che riguarda la qualità espressa dai singoli giocatori, dalle squadre in quanto tali, da Ancelotti e da Guardiola attraverso i loro accorgimenti tattici.

Questo ben di dio calcistico deve essere accolto, apprezzato e analizzato per quello che è: un intrattenimento sportivo di primo livello frutto di due modelli vincenti, per quanto lontanissimi tra loro. È chiaro che vadano fatti dei disclaimer, cioè bisogna chiarire subito, prima di iniziare qualsiasi tipo di analisi, che Florentino Pérez e i manovratori dell’Abu Dhabi United Group – progenitore del City Football Group – non sono le migliori persone del mondo, che tutto parte e discende da un’immensa disponibilità economica (indovinate quali sono i due club in cima alla Deloitte Football Money League 2024), che il Manchester City è accusato di aver violato per anni i regolamenti finanziari della Premier League e che il Real Madrid ha debiti per più di 1,5 miliardi di euro. Detto questo, però, è necessario razionalizzare i dati e le sensazioni. E allora si può dire, anzi si deve dire, che Real Madrid e Manchester City rappresentano l’eccellenza assoluta dello sport business contemporaneo.

Per capire cosa intendiamo, si possono prendere in esame i casi sparsi di Chelsea, Barcellona, Manchester United, Juventus, Liverpool, Inter, Milan, Arsenal, Paris Saint-Germain. Ecco, tutte queste società sono state e/o sono in crisi, hanno vissuto diversi anni ai margini del calcio d’élite. Certo poi i grandi club restano grandi per sempre e quindi sono destinati a splendere, a riprendersi il centro del mondo anche dopo qualche stagiona buia, ma nessuna di queste squadre ha manifestato la stessa continuità ad alti livelli del Real Madrid e/o del Manchester City. Persino il Bayern Monaco, ovvero il più luccicante esempio di efficienza economico-sportiva operante in Europa, è inciampato – lo sta vivendo proprio adesso – in un periodo di evidente difficoltà gestionale. Poi magari la squadra bavarese eliminerà l’Arsenal e dopo batterà in semifinale la vincente di City-Real, in fondo ha tutto ciò che occorre per riuscirci, ma una società che – stando alle ultime indiscrezioni filtrate dalla Germania – esonera Nagelsmann per prendere Tuchel e poi ripensa di nuovo a Nagelsmann, tutto nel giro di un anno e qualche mese, risulta quantomeno in confusione.

Il senso di questo discorso sugli altri, cioè sulle altre realtà del calcio europeo, va ricercato nei disclaimer fatti in precedenza. Per dirla brutalmente: il Chelsea e il Barcellona e il Manchester United e la Juventus e tutti gli altri top club non sono gestiti da manager più puri rispetto a Florentino Pérez e a quelli del City Football Group, e non hanno conti molto più ordinati rispetto a quelli di Real e City. Il punto è che i soldi, da soli, non bastano ad aprire e a far durare un ciclo di vittorie. Occorre anche saperli gestire, saperli congelare, saperli spendere. Serve avere una visione e serve avere le competenze giuste per attuarla, questa visione. A cominciare dal mercato dei calciatori, un settore in cui il margine tra l’affare e la cantonata è davvero risicato: il Real Madrid, per esempio, ha abbandonato l’idea che si debbano acquistare soltanto dei galácticos, anzi da un po’ di tempo si sta concentrando su giocatori giovani, meglio ancora se Under 18 e brasiliani, per poi piazzare dei colpi fragorosi – per esempio Bellingham, o eventualmente Mbappé – quando si presenta l’occasione giusta, ed è così che ha “indovinato” Vinícius Júnior e Rodrygo e Valverde, ed è così che ha “sbagliato” le operazioni legate a Reinier e a Jovic, se proprio vogliamo trovare un paio di errori in mezzo a tante operazioni indovinate; da diversi anni il City fa più o meno la stessa cosa, cioè acquista soltanto dei (grandi, costosi) talenti ancora da plasmare, ancora da valorizzare: per dire, l’ultimo giocatore arrivato a Manchester con una Champions League nella propria bacheca personale resta Danilo, l’attuale capitano della Juventus, preso proprio dal Real Madrid nel 2017.

Nel frattempo, come se non bastasse, entrambi i club hanno costruito dei settori giovanili che funzionano benissimo, che producono tanti giocatori di buona qualità e che quindi generano soldi, soldi che poi vengono reinvestiti. Ecco, appunto: gli investimenti. Al di là del calciomercato, Real Madrid e Manchester City hanno allocato o stanno allocando parti importanti dei loro budget per potenziare le infrastrutture, per rifare completamente il Santiago Bernabéu, per costruire e ampliare l’Etihad Campus e la City Football Academy. Per creare del valore che non sia volatile, che frutti oltre i risultati ottenuti sul campo.

Gustiamoci di nuovo un po’ di spettacolo

Forse è per via di tutto questo che il New York Times, probabilmente il quotidiano più prestigioso e influente al mondo, ha scritto che «il club modello di quest’era calcistica è il Real Madrid» e che «il Manchester City sa piegare la storia alla sua volontà». È lampante, in sostanza, che il meraviglioso spettacolo sportivo offerto una settimana fa, così come in occasione degli scontri diretti nelle Champions League 21/22 e 22/23, sia solo una conseguenza di tutto quello che è stato studiato, messo a punto e messo in pratica negli ultimi anni. A livello dirigenziale, prima ancora che tecnico. Questa distanza così ampia tra Real, City e tutti gli altri club è anche un monito, una lezione: tanti club hanno più o meno gli stessi capitali di partenza, eppure non sanno farli fruttare allo stesso modo. Forse perché non hanno saputo tenere il passo e/o manifestare la stessa pazienza, la stessa fiducia incrollabile nei loro progetti. O forse, molto più semplicemente, perché i loro progetti non sono altrettanto efficaci, perché sono gestiti da dirigenti e tecnici meno abili, meno visionari.

La Super Lega e la multiproprietà  – giusto per citare due capisaldi politici di Real Madrid e Manchester City – sono sicuramente delle idee controverse, dei progetti vivi o quiescenti che in molti, non solo i tradizionalisti e i nostalgici, faticano ad accettare. Ma anche questi modelli, a pensarci bene, vanno presi per quello che sono: delle derivazioni forse un po’ eccessive e forse un po’ distorte dello sport tardocapitalista, degli scenari che ci mostrano in anticipo il futuro del calcio europeo, a meno che non cambino tutti i regolamenti. Il punto è che Real Madrid e Manchester City hanno cominciato a imporre il loro dominio qualche anno fa e lo stanno esercitando oggi, adesso, cioè ancora prima che la Super Lega e la multiproprietà siano diventati reali e/o universali. Insomma, questa superiorità schiacciante non è stata costruita in un anno, in due o tre sessioni di mercato, piuttosto grazie a un lavoro lungo e articolato: Real e City hanno attraversato due percorsi lontani ma simili, fatti di equivoci ed esperimenti falliti che si sono evoluti in quello che vediamo oggi. Hanno imparato dai loro errori, e così hanno determinato nuovi standard di eccellenza. Degli standard davvero altissimi. Ora tocca agli altri mettersi in pari, e il problema è che devono farlo mentre sono costretti a guardarsi lo spettacolo, a lustrarsi gli occhi. Non è una cosa facile.