L’Italia è davvero una Nazionale così scarsa?

E se invece Roberto Mancini avesse una buona base per ripartire?

Quando Roberto Mancini ha diramato la lista dei convocati dell’Italia per le partite contro Inghilterra e Malta, sui social si sono formati due movimenti di opinione abbastanza confliggenti tra loro: da una parte c’erano quelli che lamentavano una grave mancanza di talento nella rosa della Nazionale azzurra, dall’altra c’erano quelli per cui il ct aveva sbagliato a non chiamare diversi giovani di grande talento. Ora, a  meno che la logica non sia diventata una materia opinabile così d’improvviso, queste due posizioni non possono esistere entrambe nello stesso momento: se in Italia c’è carenza di giocatori di qualità, soprattutto giovani, allora qual è il senso di protestare per la mancata convocazione di Udogie, Miretti, Fagioli? La risposta a questa domanda potrebbe essere che l’Italia non ha tutti questi giocatori di qualità, e allora perché escludere proprio i giovani più promettenti? Sarebbe pure una considerazione accettabile, se non fosse che, negli stessi ruoli di Udogie, Miretti e Fagioli, il ct ha chiamato Dimarco (poi infortunatosi e sostituito da Émerson Palmieri), Spinazzola, Barella, Frattesi, Tonali, Verratti e Lorenzo Pellegrini, cioè alcuni tra i migliori giocatori italiani di questa stagione – e non solo di questa stagione.

Certo, è impossibile non accorgersi che la Nazionale italiana ha un grande problema nel parco attaccanti: Scamacca e l’argentino Retegui sono gli unici centravanti puri chiamati da Mancini per le sfide contro Inghilterra e Malta, e tra gli altri solo Gnonto può giocare – adattandosi un po’ – come prima punta; per vari motivi non sono stati convocati Immobile, Raspadori, Belotti e Kean, ma è evidente che nessuno di questi elementi avrebbe alterato molto la percezione della forza offensiva degli Azzurri. Sarebbe un errore, però, estendere questa crisi di talento in attacco – una crisi che in realtà affonda nella storia e persino nella cultura calcistica italiana, e che riguarda anche altre Nazionali europee – a tutti i reparti, farla diventare una crisi totale quando invece è prettamente localizzata. Abbiamo già fatto qualche nome, eccone degli altri: nel gruppo dei giocatori selezionati per le prime due gare di qualificazione a Euro 2024 ci sono anche Donnarumma, Di Lorenzo, Scalvini, Jorginho, Chiesa, Berardi, Grifo, Politano. Sono tutti calciatori con un ruolo importante in club di alto se non altissimo livello – si pensi per esempio a Di Lorenzo e Jorginho. Sono tutti calciatori che stanno facendo molto bene in questa stagione, o che hanno delle grandi doti certificate sul campo – Donnarumma, Verratti e Chiesa hanno vissuto e stanno vivendo annate tribolate, ma sono stati decisivi per la vittoria degli ultimi Campionati Europei.

L’idea per cui l’Italia sia un Paese che dispone di una buona quantità di talento calcistico non è frutto di una visione soltanto locale e quindi parziale, partigiana, distorta: a giugno 2022, quando la Nazionale di Mancini aveva già fallito la qualificazione al secondo Mondiale di fila, l’osservatorio CIES – un ente che ha sede in Svizzera: la patria della neutralità in tutti i campi possibili – ha pubblicato un’indagine sui 100 calciatori più preziosi al mondo, e tra questi c’erano sei italiani, ovvero Barella, Locatelli, Bastoni, Tonali, Chiesa e Lorenzo Pellegrini. Questa cifra può sembrare bassa, soprattutto se paragonata al numero di giocatori inglesi citati nel rapporto (18), ma in realtà è perfettamente in linea con gli altri grandi movimenti europei: la Francia ne aveva otto, la Spagna sette e la Germania sei. Alla luce di certi numeri, è paradossale aggiungere che il ct dell’Inghilterra Gareth Southgate, soltanto qualche giorno fa, si è lamentato perché «non ho più nessuno da convocare», e allora si è detto «costretto a chiamare giocatori di quinta divisione».

La situazione del nostro movimento, dunque, è molto meno grigia di quanto appare. E di quanto ci piace raccontare. Le stesse convocazioni di Mancini, in questo senso, danno dei segnali politici. Anzi, sono esse stesse dei segnali politici. Abbiamo già detto di Retegui, e poi in attacco è stato convocato anche Pafundi, che è sicuramente un grande talento ma non gioca mai con l’Udinese: non è azzardato pensare che sia stato chiamato per evidenziare, nel modo più plateale possibile, la mancanza di interpreti in quel reparto. Tra difesa e centrocampo, esattamente al contrario, l’unico innesto a sorpresa è quello di Buongiorno, in ogni caso destinato a essere una seconda scelta, sia come centrale che come esterno a tutta fascia. Insomma, è chiaro che la decisione di rimandare l’inserimento in pianta stabile di Miretti e Fagioli – entrambi hanno già esordito con la Nazionale maggiore – e la scelta di aspettare ancora con Udogie sono legate al progetto tattico che il commissario tecnico ha in mente, alla fiducia che ripone in un certo gruppo di calciatori. E poi c’è da dire che gli stessi Udogie, Miretti e Fagioli sono stati chiamati in quell’Under 21 che può contare anche su Carnesecchi, Cambiaso, Parisi, Pirola, Gallo, Ricci, Baldanzi, Colombo: tutti giocatori che, nella Serie A 2022/23, hanno accumulato un tempo di gioco complessivo superiore ai 900 minuti. Esattamente come Udogie, Fagioli e Miretti.

Nicolò Fagioli è stato il 53esimo esordiente schierato da Mancini nella sua carriera da commissario tecnico; dopo di lui, hanno debuttato anche Pafundi e Miretti, portando il totale a quota 55 (Mattia Ozbot/Getty Images)

Anche quest’altro aspetto deve far riflettere, visto che la narrazione comunemente accettata non è molto aderente alla realtà. La Serie A è storicamente considerata come un ambiente competitivo in cui i giovani faticano a trovare spazio, e invece ben 49 calciatori Under 23 hanno superato i 900 minuti in campo in questa stagione. Un numero in linea con quello della Liga (51) e Premier League (52), superiore a quello della Bundesliga (46) e nettamente inferiore solo a quello della Ligue 1 (77). Se scremassimo ulteriormente i dati, scopriremmo che tra i Under 23 regolarmente impiegati in Serie A ci sono ben 22 giocatori eleggibili per la Nazionale italiana: oltre a quelli già citati perché convocati da Mancini o nell’Under 21 di Paolo Nicolato, in questo elenco ci sono pure Pinamonti, Birindelli, Rovella, Coppola e il potenziale oriundo Amione; a questi nomi va aggiunto quello di Nicola Zalewski, che è cresciuto in Italia ma ha deciso di rappresentare la Polonia, il Paese d’origine dei suoi genitori. Appena sotto quota 900′ ci sono anche il 22enne Zaniolo, ma il suo rapporto con l’Italia-nazione e l’Italia-Nazionale è una storia davvero borderline, e poi Ruggeri, Zortea, Zanoli, Gabbia, Ranocchia.

È legittimo avere ed esprimere dei dubbi su alcune scelte di Mancini, soprattutto quelle più conservative. Così come è evidente che i giocatori – soprattutto gli attaccanti – del presente non hanno (ancora?) la caratura internazionale di chi li ha preceduti negli ultimi trent’anni, dei vari Baresi, Vialli, Baggio, Maldini, Cannavaro, Nesta, Totti, Vieri, Del Piero, Buffon, Pirlo. Al tempo stesso, però, è quantomeno esagerato parlare dell’Italia come se fosse una nazione priva di talento calcistico, come se fosse un Paese che non riesce più a produrre atleti di qualità. I dati e anche le sensazioni sulla nuova generazione, quella dei nati intorno all’anno 2000, dicono altro: i prospetti ci sono, si stanno affermando in un campionato che resta tra i più competitivi al mondo, lo stanno facendo in tempi più brevi – più europei, viene da dire – rispetto al passato. Certo, c’è ancora un po’ di strada da percorrere: rispetto alle altre leghe top, per esempio, la Serie A fa ancora un’enorme fatica a fidarsi di giocatori veramente giovani, di quei teenager che in altri Paesi vengono lanciati nelle squadre senior direttamente dalle giovanili, e questo è uno step culturale che andrà fatto per poter stare al passo con Ligue 1, Premier e Bundesliga.

Insomma, l’Italia non sarà al livello della Francia o del Brasile fin dagli Europei 2024 e dai Mondiali 2026, ma ha una base solida su cui costruire il futuro, c’è un gruppo di grandi giocatori in potenza che potrebbero formare già ora una Nazionale ultra-contemporanea, dal gioco aggressivo ma anche sofisticato e raffinato. In fondo un processo molto simile fu avviato quattro anni fa proprio di questi tempi, quando Mancini iniziò le qualificazioni europee con la sua Nazionale, una squadra costruita partendo dalla freschezza di Spinazzola, Barella, Jorginho, Kean, Zaniolo e Berardi, una squadra che metteva il gioco e i giocatori al centro di tutto. Non occorre ricordare com’è andata a finire.