Le squadre italiane stanno puntando troppo sull’usato sicuro?

La notizia di Cuadrado all'Inter ha riacceso il dibattito intorno al calciomercato dei club di Serie A, e al difficile inserimento dei giovani nelle prime squadre.

La sera del 16 luglio 2023, mentre era stretta in un’asfissiante morsa di caldo, l’Italia ha dovuto metabolizzare due notizie calcistiche in evidente conflitto tra loro: mentre la Nazionale Under 19 festeggiava la vittoria del suo secondo Europeo di categoria, a vent’anni esatti dalla prima volta, tutti gli esperti di mercato hanno dato per fatto l’arrivo di Juan Cuadrado all’Inter.

Da una parte c’era la dimostrazione netta e inequivocabile – cosa può esserlo più di una vittoria? – per cui il movimento calcistico italiano è ancora in grado di produrre dei giovani di talento; dall’altra c’era una delle migliori squadre di Serie A, finalista dell’ultima Champions League e candidata autorevole a vincere il prossimo scudetto, che sembrava decisissima nel comprare un giocatore svincolato di 35 anni. Tra l’altro, questo 35enne svincolato andrebbe a occupare lo slot lasciato libero da Raoul Bellanova, 23enne di Rho, provincia di Milano, che nel frattempo è stato acquistato dal Torino per sei milioni di euro. E che, nella stagione vissuta all’Inter, ha giocato quattro partite da titolare in tutte le competizioni.

Com’era inevitabile, sono passati solo pochi minuti prima che iniziassero a piovere i post e commenti che condannavano l’operazione: no, non stiamo parlando degli insulti dei tifosi interisti arrabbiati per la lunga militanza di Cuadrado nella Juventus, piuttosto dei commenti di chi, anche alla luce del risultato colto dagli Azzurrini agli Europei Under 19, partiva dall’affare Cuadrado-Inter per evidenziare la mancanza di coraggio dei club di Serie A, la ritrosia di dirigenti e allenatori nell’affidarsi ai prodotti dei nostri settori giovanili. E ai giovani in generale. Gli stessi dubbi, per usare un eufemismo, sono stati sollevati quando sono trapelate le indiscrezioni su Romelu Lukaku, attaccante 30enne che la Juventus avrebbe avvicinato e opzionato per sopperire alla partenza del 23enne Vlahovic.

Chi critica questo tipo di strategie e di scelte fa una lettura condivisibile, soprattutto a guardarle da una prospettiva essenzialmente economico-finanziaria: se la Juve e l’Inter sono due società con un bilancio non proprio in salute, e lo sono, sarebbe più giusto che puntassero su calciatori da valorizzare in campo e poi anche sul mercato, in modo da poter ipotizzare un rientro del loro investimento, che passi attraverso i risultati di squadra e da un’eventuale cessione successiva. In questo senso, Lukaku, Cuadrado e tutti i calciatori che superano una certa soglia anagrafica sono degli asset che offrono una sola di queste due possibilità: si tratta ovviamente della prima, quella relativa al possibile rendimento positivo in campo, nel senso che potrebbero offrire un contributo fattivo al raggiungimento degli obiettivi sportivi, che siano la vittoria dello scudetto, la qualificazione in Champions, un buon percorso nelle coppe europee. Per il resto, lo dice la loro età, si tratta di atleti che avranno un appeal non proprio elevato sul mercato, che difficilmente potranno generare un nuovo valore a bilancio.

Dal punto di vista esclusivamente tecnico, il giudizio deve essere necessariamente meno netto: riducendo sempre il contesto all’Inter e allo switch Bellanova-Cuadrado, è vero che Bellanova non ha avuto tutte le occasioni necessarie per mettersi in mostra, quindi per essere valorizzato, ma è vero pure che Cuadrado, se integro fisicamente, è un calciatore che a oggi promette di essere più impattante di Bellanova, anche perché più abituato a esibirsi in certi contesti – al netto delle sue caratteristiche tecniche, del migliore o peggior adattamento al sistema di Inzaghi. In realtà, a pensarci bene, il nocciolo della questione è tutto qui: il vero problema del calcio italiano non è tanto la capacità di produrre talento, e infatti i risultati delle Nazionali Under sono più che soddisfacenti da diversi anni, quanto di creare i presupposti per lo step successivo, cioè l’inserimento di questi giovani prodotti in casa – ma anche di quelli stranieri – nei tronchi titolari delle squadre senior. Anche in questo senso ci sono dei numeri eloquenti: la Serie A è ancora un campionato piuttosto inospitale per i giovani, visto che i calciatori Under 21 hanno accumulato un minutaggio complessivo pari a 32.194′, una quota inferiore a quella di Liga e Bundesliga, una quota inferiore al 50% di quella concessa dai club di Ligue 1, che per età media e spazio concesso ai ragazzi può essere considerata alla stregua di una lega di sviluppo; allo stesso tempo, però, va anche detto che le cose sono un po’ migliorate rispetto al passato, che le statistiche relative al minutaggio dei giovani, in fondo, non risultano così distanti dagli altri campionati top.

Con 2714 minuti accumulati in campo, Udogie è stato il giocatore Under 21 più utilizzato in assoluto della Serie A 2022/23 (Alessandro Sabattini/Getty Images)

Se guardiamo con attenzione a questo calciomercato in corso, poi, scopriamo come i club più rilevanti e più attivi della Serie A siano andati oltre i “colpi alla Cuadrado”: la Juventus ha sostituito proprio il colombiano con Weah (23 anni); la stessa Inter ha già preso Frattesi (23), Bisseck (22 anni) e Thuram (26 anni da compiere tra pochi giorni); il Milan ha comprato Pulisic (25 anni a settembre), Loftus-Cheek (27) e Luka Romero (18); la Roma ha acquistato Aouar (25) e N’Dicka (23). Certo, a parte Romero non c’è nessun giovanissimo, e in ogni caso si tratta di affari a parametro zero o dai costi lontanissimi rispetto a quelli delle operazioni portate a termine dalle squadre medio-borghesi di Premier League, per esempio Schade dal Friburgo al Bournemouth per 23 milioni, Pau Torres dal Villarreal all’Aston Villa per 33 milioni, Matheus Cunha dall’Atlético Madrid ai Wolves per 50 milioni.

Ma resta il fatto che i direttori sportivi del nostro campionato, costretti a operare in condizione di sottomissione finanziaria rispetto alle società inglesi, e ora anche a quelle dell’Arabia Saudita, stiano sperimentando delle soluzioni abbastanza creative. Di certo più creative rispetto a un anno fa, quando il mercato in entrata manifestò un’evidente carenza di idee, andò poco oltre il rimpasto di giocatori già visti e rivisti, in Serie A o altrove – Bremer, Pogba, Di María, Kostic, Dybala, Matic, Acerbi, Lukaku. Alcuni di questi hanno anche vissuto una buona stagione, ma alla fine il campo ha premiato – non a caso, viene da dire – il coraggio di chi è andato a prendere i Kim Min-jae, i Kvaratskhelia, i Mati Olivera, i Raspadori, a un anno di distanza dallo scudetto vinto dal Milan di Tomori, Rafa Leão, Tonali, Theo Hernández, Maignan. Allo stesso tempo, però, sarebbe giusto rilevare che chi ha puntato su De Ketelaere, Vranckx, Thiaw, Asllani e Bellanova non è che abbia ricavato grosse soddisfazioni da questi calciatori.

Il punto, però, è proprio questo: pur risultando fallimentari o comunque poco riuscite, le operazioni fatte per De Ketelaere, Asllani e per lo stesso Raspadori, un elemento non proprio centrale nello scudetto vinto dal Napoli, hanno ancora un po’ di margine, nel senso che i soldi investiti un anno fa non sono ancora del tutto persi. Perché si tratta di elementi a cui potrebbe essere concessa un’altra occasione, e sarebbe pure giusto farlo, o che potrebbero attirare qualche offerta. Certo, è evidente: comprando questo tipo di calciatori, i club rischiano di più sul breve periodo, nel senso che sono meno certi di aumentare il valore della loro rosa qui e subito; inoltre si mettono nella condizione di dover lavorare e aspettare molto perché il talento possa venir fuori, se c’è. E non è detto che succeda.

Di contro, le società che puntano su profili più stagionati si pongono l’obiettivo di incassare le loro fiches a stretto giro o magari di posporre un investimento più importante e tamponare la falla in organico, magari risparmiando sul cartellino per compensare l’inevitabile perdita a bilancio. Insomma, siamo di fronte a un dilemma filosofico che diventa manageriale: è meglio costruire una squadra che persegue l’ambizione di vincere subito, e che poi va rifatta nei mercati successivi, oppure è giusto badare anche alla sostenibilità a lungo termine? La risposta banale è che sarebbe necessario trovare il giusto equilibrio tra queste due ideologie. La risposta più giusta è che dipende dal contesto: per i club italiani di oggi, forse, sarebbe meglio attuare delle politiche di mercato che portino a colmare il gap economico con i club di altri Paesi, o che quantomeno permettano di provarci. Ci vorrà moltissimo tempo, ma prima o poi bisognerà pure iniziare. Ecco, in questo senso puntare su qualche giocatore che ha vinto l’Europeo Under 19 magari farebbe bene a chi deciderebbe di farlo, ai giocatori stessi, al movimento italiano. Potrebbe essere un nuovo inizio, per tutti.