È da quando si è concretizzato il ritorno di Massimiliano Allegri alla Juventus, cioè dall’estate 2021, che analisti e opinionisti si esprimono in maniera contrastante sull’allenatore bianconero, sul rendimento della sua squadra, sul senso di questa sua seconda avventura a Torino. A pensarci bene, non c’è niente di sbagliato o di eccessivo: chiunque sieda sulla panchina della Juventus è sottoposto a una pressione gigantesca, inoltre stiamo parlando di un personaggio storicamente controverso, di un ex allenatore elastico diventato idealista, di un uomo che ha fatto scelte comunicative forti, che lo hanno reso ancor più divisivo. In ultimo, e probabilmente si tratta della cosa più importante, la Juventus ha conquistato zero trofei in due stagioni e due terzi. E potrebbe chiudere il bilancio triennale con un secondo posto e una Coppa Italia, ma solo se nelle prossime settimane le cose filassero alla perfezione.
Alla luce di tutto questo, era ed è impossibile che l’Allegri-bis non suscitasse delle enormi discussioni. Quella più interessante, decisamente più interessante rispetto alla contrapposizione tra i concetti (vuoti) di bel gioco e di resultadismo, riguarda il reale valore della rosa della Juve. Cominciamo col dire che si tratta di un valore significativamente più basso – o meglio: più allineato alla media della Serie A – rispetto a quello della Juventus 2014/15, 2016/17 o 2018/19, ovviamente tutte allenate da Allegri: a dirlo non siamo noi, piuttosto gli algoritmi di Transfermarkt, e potete consultare questa pagina se vi va di fare una verifica – un piccolo inciso per chi non crede alle cifre di Transfermarkt: sappiate che anche per dirigenti, osservatori e procuratori la piattaforma tedesca è un punto di riferimento da cui partire per fare valutazioni professionali. Questo delta è stato spesso ripreso e utilizzato, da alcuni commentatori, per motivare le difficoltà incontrate da Allegri dal 2021 a oggi, per spiegare la distanza quasi sempre siderale dal vertice della classifica, la sensazione di evidente inadeguatezza rispetto al Milan 21/22, al Napoli 22/23, all’Inter di quest’anno. Insomma, per dirla brutalmente: esiste una corrente di pensiero per cui Allegri, con questa Juve e con questi giocatori a disposizione, non avrebbe potuto fare molto di più. Ma è giusto pensarla così?
A questo punto, se vogliamo provare a risolvere la questione, non dobbiamo concentrarci su di lui. Il punto non è più Allegri, Non può più esserlo. O meglio: il tecnico della Juve passa in secondo piano rispetto agli uomini scelti da chi ha assemblato la rosa. Anche perché lo stesso Allegri ha sempre dichiarato che «il mercato lo fa la società» e non c’è motivo per non credergli, quindi sarebbe ingiusto parlare di lui in termini di responsabilità sulla politica relativa ai trasferimenti. Nel caso della Juve, poi, la penalizzazione, l’esclusione dalle coppe e i problemi interni – finanziari e societari – hanno avuto un peso nelle scelte fatte prima e durante l’estate 2023: l’avvio di un progetto fondato sui giovani allevati nel vivaio e poi nella NextGen, l’acquisto del solo Weah, la riduzione del monte ingaggi attraverso gli addii di Cuadrado, Bonucci, Di María e altri calciatori del ciclo precedente.
Tutte queste premesse, e persino il fatto che secondo Transfermarkt quello bianconero sia il quarto organico per valore complessivo della Serie A, rappresentano soltanto una parte del giudizio sulla Juve 23/24. Perché, molto semplicemente, ci sono altre cose di cui tener conto: tanto per cominciare, la Juventus ha il monte ingaggi più alto dell’intero campionato; inoltre, se guardiamo agli ultimi dieci anni, soltanto Barcellona e Chelsea hanno speso di più, sul mercato in entrata, rispetto al club bianconero. In virtù di questi numeri, si può – si deve – dire che la rosa di Allegri sia da considerare quantomeno competitiva. Accanto ai numeri, poi, è giusto metterci i nomi: Dusan Vlahovic può tranquillamente rivaleggiare con Osimhen e Lautaro per il titolo di miglior attaccante della Serie A, e lo stesso discorso si può fare con Bremer nel subreparto dei difensori centrali; se escludiamo Barella, nel nostro campionato non ci sono mezzali con la qualità e l’esperienza internazionale di Adrien Rabiot; al netto di tutti i problemi che l’hanno perseguitato negli ultimi due anni, Federico Chiesa non può che essere reputato come un giocatore d’élite, almeno per il contesto italiano; Manuel Locatelli, e qui torniamo ancora una volta a consultare uno dei listoni di Transfermarkt, resta il terzo miglior centromediano della Serie A dopo Cahlanoglu e Bennacer.
Di contorno a questi calciatori, la Juventus dispone del capitano della Nazionale brasiliana (Danilo), di un portiere affidabilissimo e non ancora in età da prepensionamento (il 33enne Szczesny), di alcuni giocatori di discrete qualità tutti sotto i 26 anni (Gatti, McKennie, Cambiaso e anche Kean, al netto della sua intermittenza cronica) e di un gruppetto di giovani interessanti, quelli su cui la proprietà e il diesse Giuntoli sembrano voler costruire il nuovo ciclo: Yildiz, Miretti, Illing-Junior, Alcaraz. Rileggendo questi elenchi, è a dir poco ingeneroso dire (o anche solo pensare) che la rosa di Allegri sia così carente di qualità. È chiaro, lo abbiamo già detto e lo ripetiamo, le contingenze hanno costretto il club bianconero a contenere i costi e a ridimensionare un po’ le ambizioni. Ma da qui a dire che oggi, alla Juventus, ci sono calciatori che in altre stagioni non avrebbero messo piede a Vinovo, ci passa un ampio braccio di mare – e vi garantiamo questa frase è stata snocciolata diverse volte, da più opinionisti e non solo dai tifosi sui social, nel corso delle discussioni sulla stagione dei bianconeri.
Ogni giudizio sulla rosa – e quindi sulla stagione – della Juventus, naturalmente, non può prescindere da quelli che erano gli obiettivi stagionali. Nel caso specifico, Allegri e anche Giuntoli – questo vuol dire che si trattava di una versione concordata a priori, tra tecnico e società – hanno sempre parlato del ritorno in Champions League, quindi di entrare tra le prime quattro della classifica. Va detto, dunque, che fino a questo momento i bianconeri sono assolutamente in linea con i propositi iniziali, visto che il margine sul quinto posto è ancora rassicurante; anche il rendimento puramente numerico è soddisfacente: per la prima volta da quando Allegri è tornato a Torino, infatti, la Juve ha una media punti superiore ai due per partita. A. Il problema, però, è che in un periodo della stagione sembrava che la Juventus potesse aspirare a qualcosa di più che il quarto posto. Anche perché non c’erano partite europee da giocare, Vlahovic, Danilo e compagni potevano/dovevano concentrarsi solo sul campionato, sul tenere vivo il duello corpo a corpo con l’Inter. E invece, al di là della sconfitta nello scontro diretto, sono arrivati dei risultati – sconfitta contro l’Udinese, pareggi contro Empoli, Verona e Genoa – che hanno cancellato questa possibilità. Che l’hanno cancellata troppo presto.
Qui, esattamente in questo punto, bisogna necessariamente tornare sul tema della qualità della rosa: se la Juventus è stata in grado di mettere insieme 52 punti in 21 partite, come è possibile parlarne come una squadra scarsa? Ok, per la prima metà di questo campionato è inevitabile pensare all’overperformance, soprattutto se consideriamo il rendimento nelle settimane successive. Ma certi valori non possono essere scomparsi del tutto. E allora magari è più giusto supporre – e dire – che Allegri abbia lavorato piuttosto bene fino a un certo punto, solo che poi sono venuti fuori dei limiti significativi. A cominciare da quelli relativi a un’espressione di gioco ridotta a pochi concetti, sempre gli stessi. A pioggia, poi, si è manifestata una certa prevedibilità/sterilità offensiva e si è determinata la mancata valorizzazione dei talenti più giovani, quelli di cui abbiamo già parlato: a parte Miretti, che ha accumulato poco più di 1000 minuti in campo, Yildiz, Illing-Junior e poi anche Alcaraz sono stati utilizzati a singhiozzo, e comunque mai da protagonisti per più di una o due partite consecutive. Le loro qualità, a certe condizioni, si potevano solo intravedere. E in effetti si sono solo intraviste.
La sensazione, per dirla usando parole un po’ brutali, è che la Juventus a un certo punto si sia fossilizzata. Si è come avvitata su se stessa. E quindi la verità è che il valore della rosa bianconera risulta indecifrabile perché è stato nascosto, non è mai stato esposto del tutto, neppure per metterlo alla prova in vista del futuro. Come succede sempre, almeno quando c’è Allegri in panchina, l’intero dibattito si esaurisce e quindi si esaurirà con il conteggio dei punti, con lo spoglio dei risultati a fine stagione. Se la squadra bianconera dovesse ottenere la qualificazione in Champions e/o vincere la Coppa Italia, tutte le polemiche finirebbero per esplodere in silenzio, come una bolla di sapone. Ma è digeribile che un club come la Juve ragioni e viva in questo modo? Ha senso che una società del genere rischi di trovarsi poco o nulla, tra le mani in caso di mancata qualificazione alla Champions, al termine di una stagione senza coppe europee? E qui non si tratta di bel gioco, di appagamento estetico: a parte Miretti, Cambiaso e Vlahovic, per altro reduce dall’ennesima crisi di nervi vissuta da quando è arrivato a Torino, quale altro giocatore ha avuto una crescita reale nell’ultima stagione? E ancora: quale giocatore che oggi gioca nella Juve ha migliorato il suo status negli ultimi tre anni? Forse anche questo è un parametro che si potrebbe utilizzare per misurare il valore della rosa della Juventus. E Allegri, se guardiamo in questa direzione, ha sicuramente qualche responsabilità in più.