Perché il Milan ha scelto Álvaro Morata

Quella dei rossoneri è un'operazione sensata e intelligente. Per diversi motivi.

Quando inizierà davvero la sua avventura Milan, Álvaro Morata farà la sua conoscenza con una condizione del tutto nuova, almeno se guardiamo alla sua carriera italiana: quella per cui sarà il centravanti titolare senza se e senza ma, la prima scelta assoluta per il reparto offensivo. Le sue due esperienze alla Juve, nel 2014 e nel 2020, avevano delle premesse molto diverse: la prima volta venne acquistato (in prestito) come giovane backup di Tévez e Llorente; la seconda arrivò (sempre in prestito) per integrare un parco attaccanti in cui c’erano già Cristiano Ronaldo e Paulo Dybala, poi si ritrovò anche Dusan Vlahovic. Ecco, in fondo basterebbe partire da qui per capire che siamo di fronte a un’operazione studiata e attuata in maniera logica. Ed è un discorso primariamente tattico: il Milan, perso Giroud e assunto Fonseca, aveva bisogno di una prima punta con un profilo particolare. Un profilo che lo stesso tecnico portoghese aveva tracciato, utilizzando parole piuttosto chiare, quando è stato presentato alla stampa: «Se siamo una squadra che vuole giocare negli ultimi 30 metri, ci serve un attaccante bravo a giocare senza spazio negli ultimi 30 metri».

Insomma, per dirla con una frase che sembra banale ma in realtà non lo è: il Milan ha scelto Morata. Sì, certo: le indiscrezioni filtrate dal mercato fanno pensare che la dirigenza rossonera sia andata in questa direzione dopo aver fallito l’acquisto di Joshua Zirkzee. Ma ciò non toglie che esista una chiara prossimità, quindi un ottimo potenziale, nell’incastro tra il gioco di Fonseca e le caratteristiche di Morata. E allora bisogna rivedere un po’ le prospettive: prendere Morata magari deve essere considerata come l’attuazione di un cosiddetto “Piano B”, eppure sta di fatto che il capitano della Nazionale spagnola ha tutto ciò che serve per essere il centravanti del nuovo Milan.

Questa tesi si autoalimenta: proprio nella splendida Nazionale spagnola del 2024, Morata ha dimostrato di poter essere un eccellente centravanti di manovra, un riferimento efficace per un possesso insistito ma anche diretto, verticale, per delle azioni che passano dai suoi piedi e poi si sviluppano in ampiezza, sugli esterni, grazie all’esplosività dei laterali offensivi – nel caso della Roja, ovviamente, stiamo parlando di Lamine Yamal e Nico Williams. Se queste frasi vi hanno fatto pensare subito a Rafa Leão, al fatto che questi meccanismi offensivi possano essere quelli giusti per accendere il talento incendiario dell’esterno portoghese, beh, allora vuol dire che l’attacco del Milan di Fonseca si sta configurando nel modo giusto. O, quantomeno, in modo coerente.

C’è un altro aspetto importante da sottolineare: se le squadre di Fonseca difendono bene quando riescono a tenere alti i ritmi del pressing, e la storia dell’allenatore portoghese dice che è esattamente così, quella relativa a Morata è una scelta ancora più sensata, ancora più centrata. Anche in questo senso può essere utile riavvolgere il nastro degli Europei 2024: il centravanti titolare della Spagna è il giocatore che ha commesso più falli (12) tra tutti quelli che hanno partecipato al torneo. Questo vuol dire che Morata garantisce e garantirà un supporto costante quando c’è da sporcare la costruzione bassa degli avversari, quando occorre alzare il baricentro e l’intensità dei contrasti in fase di non possesso. Certo, è inevitabile che un lavoro del genere finisca per togliere lucidità e precisione nel momento in cui bisogna concludere verso la porta (agli Europei Morata ha messo insieme 14 tiri in sette partite, di cui soltanto quattro sono finiti nello specchio), ma qui si torna al discorso precedente: in una squadra che ha a disposizione Leão e Pulisic, ma anche Chukwueze e Loftus-Cheek, la prima punta può avere compiti più vari, che vanno al di là della pura e semplice finalizzazione.

A guardare l’operazione-Morata da questa prospettiva, è chiaro che possa esserci qualche perplessità. In fondo stiamo parlando di un attaccante, di una prima punta, di un calciatore che dovrebbe avere il gol come obiettivo primario. Va anche detto, per amor di verità e di giustizia, che Morata è reduce dall’annata più proficua della sua carriera, almeno dal punto di vista meramente numerico (21 gol in 48 gare di tutte le competizioni con l’Atlético Madrid: uno in più rispetto al record precedente, fatto segnare nel Real Madrid 2016/17 e nella Juve 2020/21). E che, se guardiamo alle ultime dieci stagioni, è sempre andato in doppia cifra.

La miglior stagione di sempre, per Morata

Probabilmente è qui, in questo punto esatto, che bisogna mettersi per valutare bene l’acquisto di Morata: il Milan si è assicurato un attaccante di sicura affidabilità, che magari non potrà garantire 25 o 30 gol stagionali – come detto non è mai arrivato a certe cifre – ma porterà esperienza e qualità tecnico-tattiche sovrapponibili alle esigenze di Fonseca. Insomma, si può parlare di un affare concettualmente simile a quello fatto con Giroud: alla vigilia della stagione che si sarebbe conclusa con il 19esimo scudetto della sua storia, il Milan prese un attaccante di 35 anni che non aveva mai avuto infortuni gravi, un centravanti prolifico ma con numeri umani sottoporta, una punta perfettamente spendibile nel gioco di Pioli, un atleta d’élite che si sperava potesse trasmettere un po’ della sua mentalità vincente a un gruppo giovane e ricco di talento, ok, ma ancora da smaliziare ai massimi livelli. Sembra l’identikit di Morata, se non fosse che l’attaccante spagnolo è ancora più giovane – compirà 32 anni a ottobre.

Forse l’unico dubbio reale su Morata va ricercato nella sua tendenza a immalinconirsi, ad accusare duramente le crisi personali e le critiche dei tifosi e della stampa. L’attaccante spagnolo, però, ha parlato diverse volte di questi suoi momenti difficili a livello mentale ed emotivo. E, cosa più importante, è sempre riuscito a superarli, a riproporsi ai massimi livelli. In questo senso, il fatto che abbia vinto l’Europeo – da capitano e da protagonista assoluto, per altro – dopo aver accarezzato l’idea di rifiutare la convocazione è un segnale importante. Che fa il paio con il suo entusiasmo per il ritorno in Italia, un Paese-ambiente dove Morata si sente benvoluto – anche per ragioni sentimentali – e dove percepisce meno odio nei suoi confronti, soprattutto se facciamo il confronto con esperienze vissute in Spagna e in Inghilterra.

Infine, va fatta una piccola ma doverosa digressione/ipotesi sulla ratio addotta dal Milan in merito all’affare-Morata. Ripetiamo: è risaputo che il club rossonero fosse interessato a prendere Zirkzee, e le dichiarazioni di Ibrahimovic su questo argomento sono state abbastanza eloquenti, ma poi l’attaccante del Bologna ha accettato l’offerta del Manchester United. A quel punto, la dirigenza milanista potrebbe aver deciso di cambiare strategia, di prendere una prima punta meno costosa e con più esperienza. Di fare un investimento meno impegnativo a livello non solo economico, ma anche strategico e temporale. In questo modo, potrebbero venirsi a creare anche i presupposti per il lancio di Francesco Camarda, o comunque per inserirlo gradualmente nelle rotazioni della prima squadra, senza condannarlo a vivere nell’ombra di un uomo-franchigia, di un attaccante che non può andare in panchina. Non è che Morata sia destinato ad andarci, anzi abbiamo detto subito che arriverà a Milano con i gradi da titolare, ma non è così assurdo immaginare che, tra sei, otto o quattordici mesi, il centravanti spagnolo possa lasciare qualche minuto a uno dei talenti più promettenti del calcio italiano. O magari possa fargli da partner e da tutor, perché no?