Paul Pogba ha definito il calciomercato, di nuovo

Dieci anni fa ha dato impulso al mercato dei parametri zero, ora ha raccontato in un documentario la trattativa per il rinnovo con lo United, e il suo fallimento.

A luglio del 2021, Paul Pogba si trova nel suo posto preferito al mondo: Miami. In Florida ha conosciuto sua moglie, ha festeggiato la Coppa del Mondo del 2018, e sempre lì è volato a consolarsi dopo l’eliminazione della sua Francia agli Europei, vecchia di pochi giorni. Perché «gli americani», secondo Pogba, «hanno capito tutto. Hanno compreso che bisogna sfruttare al massimo la propria immagine. Perché è l’immagine che definisce il tuo valore». E non a caso Pogba invidia i campioni NBA, sogna di essere come loro, protagonisti in campo e icone fuori. Insomma, Miami è la sua terra promessa, il luogo dove un giorno vuole vivere. Viaggiando sulla State Road 5, al volante di quella che sembra una Rolls Royce, c’è Mino Raiola in videochiamata: «Paul, ti trovi in una situazione molto particolare». «Il Manchester ha fatto un’offerta?», chiede Pogba. «Sì, vogliono assolutamente che tu rimanga. Ma per me, l’offerta non riflette questo», risponde Raiola. Il tono dell’agente è concitato: «Ho detto loro: “Se volete che rimanga, non potete fare quest’offerta”. Gli farò capire che se vogliono davvero che tu resti, e vogliono costruire un progetto intorno a te, questa volta devono agire e mettere i soldi sul tavolo». Pogba guarda fuori dal finestrino, è nervoso, gesticola tenendo una mano sul volante: «Come puoi dire a un giocatore che lo vuoi assolutamente, e poi non offrirgli nulla? È una cosa mai vista».

Questi sprazzi di calciomercato reale sono stati rivelati a tutti lo scorso 17 giugno, quando Amazon Prime ha annunciato l’uscita del suo Pogmentary, ovvero una docu-serie sull’ormai ex centrocampista del Manchester United, Paul Pogba. L’impatto iniziale con il pubblico non è stato molto positivo: è bastata infatti una sola settimana per far piovere critiche e commenti negativi, con la serie che si è classificata all’ultimo posto su IMDb secondo le valutazioni degli utenti. Forse il sottotitolo dell’opera poteva essere un avvertimento, soprattutto per chi non apprezza Pogba: “Nato pronto”. Insomma, non siamo certamente di fronte a un’analisi critica, piuttosto a una celebrazione di Paul Pogba. Soprattutto quando non va in campo.

Il campo, in effetti si vede veramente poco nel Pogmentary. Forse è il vero grande assente della serie, ma dopotutto non è quello che l’opera voleva mostrare. Perché tutti conoscono il Pogba calciatore, pochi il vero Pogba, che è molto di più: un ragazzo semplice ma complesso, con forti valori familiari e religiosi, un uomo multilingue ma che non si è mai allontanato dal bambino cresciuto a Roissy-en-Brie, quartiere della periferia sud-est di Parigi. Ora però, quel bambino che sognava di fare il calciatore è businessman e icona di stile, ed è – come lo ha definito il suo avvocato-agente Rafaela Pimenta, erede dell’impero di Mino Raiola – «qualcosa che abbiamo costruito». Proprio questa frase ha un peso specifico importante, se ci si riflette bene: attraverso emoji, balletti, tagli di capelli eccentrici, manifestazioni social, Pogba è come se avesse creato una propria narrazione con relativo merchandising. Ma anche prima di tutto questo, Paul Pogba potrebbe essere considerato un prodotto calcistico e di mercato. Anzi, ancora di più: è il giocatore che ha definito il calciomercato. Lo ha fatto già una volta, e ora lo ha rifatto di nuovo.

Tra i vari flashback che caratterizzano le cinque puntate della serie, uno dei più interessanti risale a quando Paul aveva soltanto 18 anni, e Mino Raiola stava trattando il suo rinnovo di contratto direttamente con Sir Alex Ferguson. Nella sua prima esperienza allo United, Pogba si divideva tra scuola e allenamenti, e, lontano da affetti e famiglia, scoprì per la prima volta la solitudine. Nel 2011, dopo un’attesa snervante cavalcata da un’inusuale attenzione mediatica, fu lanciato per la prima volta da Ferguson in prima squadra, ma l’esordio contro il Leeds in League Cup non gli bastò: «È come se avessi assaggiato una torta, ma ora voglio mangiarla tutta! Voglio giocare stabilmente in prima squadra», furono le sue prime parole dopo la partita. Non c’era emozione nei suoi occhi, ma soltanto fame. «Le persone pensano sempre che tutto giri intorno ai soldi», dice Raiola nel Pogmentary, «ma i soldi non sono mai il fine di una trattativa, bensì una conseguenza». E proprio questo, forse, fu il grande errore di Ferguson: Sir Alex ritenne che le difficoltà nel rinnovare il contratto di Pogba fossero soltanto una questione di denaro. In realtà, rivelò anni dopo Pogba, le cose stavano diversamente: «Giocare a Manchester soltanto per dire “Wow, gioco nello United”, e poi stare in panchina: questo ti rende davvero felice? Sono stato convocato un paio di volte in prima squadra, ma non mi bastava. Ferguson non ha dimostrato di volermi a sufficienza».

Nell’estate 2012 Pogba si trasferì alla Juventus a parametro zero, un affare che cambiò molti paradigmi nel mercato dei giovani talenti, nonché la mentalità stessa dei ragazzi che si affacciavano al calcio dei grandi: da quel momento in poi, lasciare il settore giovanile di un top club europeo per giocare con continuità in realtà diverse, anche se più piccole o meno competitive, non fu più considerato una cosa strana, né tantomeno un affronto. Nel corso degli anni successivi si sono susseguite una serie di operazioni di questo tipo: nel 2014 Kingsley Coman si unì alla Juventus, sempre a parametro zero, lasciando il Paris-Saint Germain – che in realtà gode di un pessimo rapporto con il proprio settore giovanile: sono diversi infatti i prodotti del vivaio Psg che hanno lasciato Parigi, per esempio Maignan, Nkunku, Moussa Dembélé, Guendouzi, Zagadou. In Inghilterra, nel 2017 il Manchester City cedette per 20 milioni Jadon Sancho al Borussia Dortmund, una cifra comunque importante per un 17enne, ma che non è niente in confronto ai 100 milioni che lo United ha investito l’estate scorsa per riportarlo a Manchester. Sempre in Inghilterra, un anno prima, l’Arsenal lasciò andare un giovane Serge Gnabry al Werder Brema per appena cinque milioni. In Serie A, Gianluca Scamacca lasciò la Roma per 270 mila euro nel 2015, e si trasferì al PSV Eindhoven: oggi, sempre secondo Transfermarkt vale almeno 30 milioni di euro. Un valore condiviso con Nicolò Zaniolo, praticamente regalato – era valutato meno di cinque milioni – proprio ai giallorossi nell’ambito dell’affare Nainggolan-Inter, concretizzatosi nel 2018.

Queste operazioni sono tutte diverse tra loro, per momenti storici e situazioni socio-finanziarie delle squadre coinvolte, ma figlie dal cambio di paradigma anticipato, qualche anno prima, da Paul Pogba. E ora, dieci anni dopo, il Pogmentary potrebbe aver inaugurato un’altra, nuova tendenza di calciomercato: per la prima volta infatti una trattativa di rinnovo finisce in mondovisione, con le ragioni di un addio che sono lì, raccontate in cinque puntate da mezzora. È qualcosa che è straordinariamente al passo coi tempi, e che rappresenta un approdo – anche se qualcuno direbbe una deriva – probabilmente inevitabile. Il tempismo dell’uscita stessa del Pogmentary, a tredici giorni dalla scadenza ufficiale del suo contratto, non può essere poi casuale: Pogba costruisce, con il suo progetto su Prime, una nuova narrativa che racconta il suo svincolo e al tempo stesso lo assolve, mostrando tutta la sua sofferenza durante una trattativa poi andata male. «Qual è il meglio per te? Qual è il meglio per la tua famiglia? E per la tua carriera? Economicamente? Qual è la scelta migliore per il tuo marchio?» gli chiede compulsivamente Mino Raiola. «Devi sentirti bene come quando sei con la Nazionale. Con la Francia sei il vero Pogba, il Pogba della Juventus, il Pogba che tutti amano. Con il Manchester, invece, c’è qualcosa che ti blocca». Paul annuisce, è consapevole, perché forse la sua decisione l’ha già presa. E questo si evince chiaramente per tutta la durata del documentario.

Il trailer del Pogmentary

Nel lasso di tempo in cui è stato girato il Pogmentary, la dirigenza dello United ha recapitato a Pogba due offerte di rinnovo, entrambe superiori all’attuale stipendio del centrocampista, che comunque risulta uno dei giocatori più pagati della Premier League, con uno stipendio da 290 mila sterline a settimana. Eppure entrambe le proposte sono state giudicate come il nulla – da leggere con voce offesa e sprezzante – dal giocatore. L’impressione che traspare, l’espressione che Pogba ha fatto di tutto per far trasparire, è quella di essere stato sottovalutato, snobbato, non voluto abbastanza. Proprio come dieci anni fa. E il suo fine ultimo, la narrativa costruita e restituita dal Pogmentary, è espressa proprio da Pogba stesso in una delle scene finali: «Io voglio mostrare al Manchester che ha commesso un errore ad aspettare a darmi un contratto. E, d’altra parte, voglio anche mostrare agli altri club europei che lo United ha sbagliato a non offrirmi un contratto». In realtà avrebbe dovuto dire il contratto che volevo, visto che delle offerte , in fondo, gli erano arrivate. Ma chi si accorgerà o si ricorderà di questa differenza?

Il ritorno alla Juventus, ormai solo da ufficializzare, è un trasferimento che ha perfettamente senso nella narrativa di Pogba: il ritorno a casa del campione che cerca un nuovo inizio, tra l’altro in un club che deve rilanciarsi dopo anni difficili. Di nuovo a costo zero, come dieci anni fa: anche questo è un aspetto che riflette chiaramente la contemporaneità, un (calcio)mercato in cui le operazioni a parametro zero sono sempre più frequenti, in cui il prezzo dei cartellini rassomiglia al lascito di un tempo lontano, ormai superato. Un po’ come se il calcio europeo si stesse spostando sempre più verso un sistema simile alla Free Agency NBA o comunque degli sport americani, in cui l’atleta e le discussioni del suo stipendio sono al centro dell’affare, sono il centro dell’affare. Tutto questo è stato largamente anticipato da una serie tv, è stato tutto raccontato all’interno di un prodotto mediale che fa evidentemente il verso con The Decision di LeBron James, almeno per quanto riguarda la parte relativa al suo mancato rinnovo, che poi è quella più vera, più interessante, dell’intero Pogmentary – di nuovo la NBA tanto amata da Paul, un cerchio che si chiude. Quella parte del racconto mostra l’infinita abilità di Paul Pogba – e del suo entourage – nell’anticipare i trend di calciomercato, siano quelli delle scelte o quelli mediatici, come in questo caso. È ciò che lo ha reso unico e pioniere, per l’ennesima volta. Ognuno di noi, ora, può decidere se si tratti di un approdo o di una deriva.