Il mercato degli allenatori non è mai stato così interessante

Klopp, Xavi, Conte, ma anche Xabi Alonso, Thiago Motta e De Zerbi: nella prossima estate assisteremo a un enorme domino di panchine.

«Oggi siamo qui perché hai un messaggio importante da consegnare ai nostri tifosi. Vuoi dirci di che si tratta?». L’espressione di Jürgen Klopp, che nei primi secondi del video tradiva una tensione palpabile e difficile da nascondere, cambia radicalmente quando il suo interlocutore misterioso gli pone la domanda che era stata concordata. Sullo sfondo, oltre la vetrata della media room, ci sono i campi del nuovo AXA Training Center, che lui aveva fortemente voluto fin dal suo arrivo a Liverpool nel 2015, affinché ci fosse una continuità geografica e tecnica tra giovanili e prima squadra. La telecamera inquadra il volto di Klopp nel momento esatto in cui accenna a un leggero sorriso di sollievo, di quelli che nascono spontanei quando ci si sta per levare un grande peso dal cuore: «Sì. Lascerò il club al termine di questa stagione». 

Nell’epoca in cui, per merito – o a causa – dei social, le notizie vengono processate, metabolizzate e rilette nello spazio di poche ore, non deve stupire che il video d’addio di Klopp al Liverpool dopo nove anni sia stato seguito da una serie incontrollata di voci sulla sua prossima panchina. E questo nonostante Klopp stesso abbia chiarito che «non so cosa accadrà in futuro, ma nella prossima stagione non allenerò nessun club e nessuna Nazionale». In questi anni abbiamo visto come il mercato degli allenatori si sia conquistato uno spazio tutto suo, e anche piuttosto rilevante, all’interno del calcio parlato ed è stato perciò piuttosto naturale cominciare a tracciare il futuro di Klopp prima ancora che potesse esaurirsi il suo presente, ipotizzando scenari più o meno credibili sulla base di ciò che sappiamo – o che crediamo di sapere – su uno dei tecnici più influenti degli ultimi 15 anni.  

Ecco, quindi, come nascono le suggestioni sul Bayern Monaco – alla ricerca di quella continuità tecnica e progettuale che sembra essere stata smarrita negli ultimi due anni – e sulla Nationalmannschaft, che si appresta a giocare l’Europeo in casa dopo il disastroso decennio post 2014 che ha riportato l’orologio del calcio tedesco indietro di vent’anni e con Nagelsmann ct “a tempo” il cui contratto scadrà due settimane dopo la finale dell’Olympiastadion: entrambe queste squadre avrebbero bisogno di quella scarica elettrica e motivazionale che solo Klopp, un Klopp di nuovo pronto a ricominciare da zero, saprebbe garantire. Eppure sia il Bayern che la Germania squadre saranno probabilmente costrette a rimandare di almeno un altro anno qualsiasi discorso legato all’ingaggio di un allenatore che ha deciso di prendersi una pausa perché sente «di essere a corto di energie».  

Energie che invece non mancano a Xabi Alonso, che di Klopp può essere considerato l’erede naturale. E non solo per il suo passato a Liverpool: il 3-4-3 con cui il suo Bayern Leverkusen sta dominando la Bundesliga è incardinato su alcuni dei principi che Klopp ha estremizzato nella sua esperienza ad Anfield, soprattutto per quello che riguarda la riaggressione immediata nella metà campo avversaria dopo la perdita del pallone e la ricerca immediata della verticalità sulla transizione sfruttando le catene laterali e i tagli dei due esterni offensivi. Oggi il Leverkusen può essere considerato il miglior progetto di “squadra da Premier League” al di fuori dell’Inghilterra: l’aggressività nella fase di non possesso e nelle marcature preventive per mantenere il baricentro alto, la capacità di assorbire gli uno contro uno a tutto campo attraverso scaglionamenti progressivi, la centralità delle ali nella rifinitura e nella finalizzazione sono i punti di contatto e di continuità tra Klopp e Xabi. E quindi sono elementi che permetterebbero a quest’ultimo di bypassare un fisiologico periodo di adattamento, così come al Liverpool di avere già la risposta a un problema che solo qualche anno fa sarebbe apparso irrisolvibile. 

Al di là di chi sarà il suo successore, l’annuncio di Klopp ha generato un effetto domino inatteso, come se all’improvviso fosse scattata una furiosa corsa contro il tempo per accaparrarsi alcune delle panchine più prestigiose d’Europa. Il giorno dopo, al termine della gara persa contro il Villareal, Xavi ha cambiato il corso e i temi della conferenza stampa post partita dicendo che «dal 30 giugno non sarò più l’allenatore del Barcellona». Lunedì 29 gennaio, poi, i media inglesi e spagnoli hanno rilanciato l’indiscrezione del quotidiano catalano Sport secondo cui Mikel Arteta sarebbe intenzionato a lasciare l’Arsenal alla fine della stagione. Finché non è arrivata la smentita ufficiale tramite Sky Sport UK, la suggestione di Arteta pronto a diventare la nuova guida tecnica del Barcellona ha preso corpo da e sul nulla, semplicemente perché l’idea che uno degli allievi di Guardiola fosse pronto ad assumersi l’onere e l’onore di ricostruire il Barça e la sua immagine, dentro e fuori dal campo, sembrava logica, per certi versi persino inevitabile. E, invece, il casting è appena cominciato e non sarà breve. 

Xabi Alonso sembra il candidato numero uno del Liverpool: da calciatore, con i Reds ha giocato tra il 2004 e il 2009 (Adam Pretty/Getty Images)

Tra i nomi sulla lista di Deco quello di Roberto De Zerbi (che ha un contratto con il Brighton fino al 2026) è stato aggiunto solo di recente e comunque solo come alternativa a quelli di Sergio Conceição, Michel Sanchez e Imanol Alguacil. Il tecnico italiano avrebbe tutto ciò che serve per rimettere insieme i pezzi di un brand calcistico in disfacimento attraverso una proposta di gioco chiara e riconoscibile. E ripartendo dal 4-3-3, il monolite inscalfibile su cui Johan Cruyff ha edificato la cattedrale che Guardiola ha poi contribuito ad affrescare. Partendo da questi presupposti, però, non sarebbe poi così strano se Deco e Laporta scegliessero di ripartire da Alguacil, che ha impiegato poco meno di cinque anni per trasformare la Real Sociedad in una sorta di “Barca in miniatura” riproponendo tutti i legati tecnici e tattici del juego de posición alla catalana – ricerca dell’ampiezza e della superiorità numerica e posizionale sfruttando esterni offensivi abili nell’uno contro uno, due mezzali creative in grado di fare densità in zona palla offrendo il maggior numero di soluzioni possibili in fase di rifinitura, una costruzione che parte  con la salida lavolpiana del pivote che si abbassa tra i due centrali difensivi e si sviluppa attraverso le combinazioni tra esterno, mezzala e terzino di riferimento – e aggiungendo quella componente dinamica e verticale che è mancata tutte le volte in cui, nelle ultime due stagioni, la squadra di Xavi si è trovata ad affrontare un avversario dalla cifra tecnica pari o superiore alla sua. Nell’immediata vigilia della gara contro il Girona, Alguacil ha dichiarato di trovarsi «nel miglior club possibile per me» e di voler rinnovare il contratto che scade nel 2025; eppure, esattamente come Xabi Alonso per il Liverpool, parliamo di un allenatore che per il Barcellona sarebbe una scommessa ragionata, un azzardo controllato, un ritorno alle origini. Un nome spendibile come quello De Zerbi, forse anche di più.

In realtà, domenica 4 febbraio, poche ore dopo le dichiarazioni di Alguacil, Radio Catalunya ha riportato che la scelta definitiva di Deco sarebbe ricaduta su Sergio Conceição. Se per De Zerbi e Alguacil ci sarebbero pochi dubbi sull’aderenza tecnica, tattica e progettuale, Conceição sarebbe l’equivalente di una vera e propria rivoluzione copernicana, il primo passo fatto nella direzione teoricamente opposta alla filosofia calcistica che ha reso grande il club catalano. Se dovessimo basarci su quanto abbiamo visto nelle sei stagioni e mezzo alla guida dei Dragões sarebbe difficile immaginare un tecnico meno da Barcellona del portoghese: il Porto di Conceição è una squadra che ha costruito le proprie fortune su un 4-4-2 solido e lineare in cui l’unica variazione sul tema dell’attacco dello spazio in verticale alle spalle della seconda linea di pressione da parte dei due esterni è costituita dalla ricerca immediata della prima punta fisica, chiamata a portare via almeno uno dei centrali. Quello del Porto è stato a lungo un calcio diretto ed essenziale, che Conceição è riuscito a modernizzare implementando un sistema di pressing e riaggressione alta tale da farlo sembrare più gradevole e dinamico di quanto sia in realtà; ma come se la caverebbe in un contesto in cui la necessità di razionalizzare il talento a disposizione richiede l’adozione di sovrastrutture molto più fluide e complesse di quelle che si è trovato ad elaborare fino ad oggi? E l’idea di un Barcellona minimalista, come quello della stagione 2022/23 poi accartocciatosi su sé stesso dopo aver vinto la Liga, che senso potrebbe avere in una fase storica in cui il club sta cercando di recuperare la propria identità?  

In Italia le domande sono diverse e ruotano essenzialmente attorno a due nomi, che si attraggono e respingono l’un l’altro allo stesso tempo: Thiago Motta e Antonio Conte. L’attuale allenatore del Bologna è stato dato a più riprese vicinissimo alla Juventus, cioè la squadra cui Conte si è proposto in maniera nemmeno tanto informale negli ultimi mesi. E alla quale, a un certo punto, sembrava destinato a ritornare per provare ad accorciare di nuovo i tempi della ricostruzione. I buoni risultati ottenuti in questa prima metà di stagione e lo spazio che stanno trovando gli Under-22 della rosa dopo l’ostracismo iniziale hanno reso percorribile la strada che porta a un tecnico che alla modernità della sua proposta di gioco ha saputo unire un pragmatismo che molti faticavano a riconoscergli e che renderebbe meno traumatica l’eventuale transizione dal calcio reattivo di Allegri a uno maggiormente propositivo e dispendioso. In questo senso, ipotizzare Thiago Motta come nuovo tecnico della Juve avrebbe molto più senso di quel che sarebbe logico supporre, soprattutto in chiave player trading e valorizzazione di un parco giocatori giovane, futuribile e già pronto per competere ad altissimo livello, almeno in Serie A. 

Per Conte, invece, il discorso riguarda la distanza tra reale e percepito, cioè la distanza che passa tra l’allenatore che crediamo sia ancora e quello che potrebbe essere diventato dopo un anno sabbatico reso necessario dall’ultima parte della sua esperienza al Tottenham dove, oggettivamente, non era più lui. E se nel nostro immaginario l’iconografia del martello pneumatico, del Signor Wolf che arriva e risolve i problemi, ce lo fa pensare pronto per raccogliere le sfide chiamate Roma e/o Napoli, la necessità di sperimentare un approccio meno furioso e tremendista rende molto più credibile l’ipotesi Milan. Cioè una squadra teoricamente già pronta dal punto di vista di qualità e profondità complessiva della rosa e che non richiederebbe un dispendio eccessivo di energie nervose per colmare eventuali lacune della stessa, concentrandosi esclusivamente sul lavoro di campo e sul player development. Un dettaglio che farebbe del Milan una candidata naturale al titolo – come qualsiasi squadra italiana allenata da Conte, del resto – ma in un modo del tutto nuovo e tutto da scoprire, a partire dall’identità tattica: un Milan schierato con il 3-4-3 parzialmente intravisto al Tottenham, che risale vorticosamente il campo sfruttando la sua poderosa batteria di esterni, con le due ali a piede invertito che entrano dentro il campo palla al piede sfruttando lo spazio aperto dai movimenti in profondità di un numero 9 in grado di creare per sé e per gli altri, potrebbe essere l’ennesimo esaltante capitolo di una storia iniziata, anche in quel caso, con un inaspettato video d’addio.